Difficile spiegare ad un bambino i conflitti che dilaniano la civiltà contemporanea. Raccontare, insomma, le radici che generano l’insensatezza della guerra. Dal canto proprio, sovente il cinema di animazione contemporaneo si è geograficamente situato in territori lontani dalle più calpestate realtà occidentali. Resta prevalentemente un punto di vista esterno, realizzato da chi è andato via da quei luoghi o, semplicemente, da individui lontani (attenti o meno, perspicaci o vacui), testimoni di storie più che di sguardi.
Tratto dal libro "Sotto il burqa" - primo della cosiddetta trilogia di Parvana di Deborah Ellis, qui anche co-sceneggiatrice insieme ad Anita Doron, canadese ma forte di un’esperienza in Pakistan in un campo di rifugiati afghani, questo adattamento per il grande schermo è firmato dall’irlandese Nora Twomey (co-regista dell’ottimo "The Secret of Kells" di Tomm Moore) e prodotto, tra gli altri, dalla star Angelina Jolie.
In uno sposalizio di paesi e nomi internazionali, nobili cause pacifiste e femministe, la riuscita dell’operazione poteva non essere scontata, ma i risultati sono ragguardevoli.
"I racconti di Parvana" è ambientato in una Kabul (Afghanistan) dominata dal regime talebano. Al centro della storia vi troviamo l’undicenne Parvana e, di conseguenza, il film è in primo luogo un romanzo di formazione. I piccoli dissidi del focolare domestico si riveleranno ben presto nulla se confrontati alle invalicabili barriere di una irragionevole dittatura.
In virtù di ciò per Parvana le scaramucce con la sorella o le incomprensioni con il padre vengono scavalcate contemporaneamente ad una giovinezza rapinata da cause che la ragazzina non può spiegarsi quanto, semmai, meditare attraverso i racconti fin lì uditi da un padre che sarà ingiustamente imprigionato dai talebani.
Nella determinazione e la tenacia del caso la scelta di Parvana di fingersi un ragazzino, liddove la condizione femminile trova il massimo grado di criticità, dà vita ad una delle sequenze più significative del film, ovvero quella del taglio di capelli. Atto critico attraverso il quale la ragazza acquisisce una consapevolezza forzata ma già precisa.
Da questo momento i racconti tramandati da padre in figlia, non solo rafforzano in quest’ultima il legame familiare, ma si fanno mezzo portante dell’intera vicenda, insegnamenti e morale compresi. I racconti, in bilico tra realtà è finzione, rispettano leggende e parabole locali per tracciare parallelismi con un oggi (con la storia di un popolo) che non ha saputo ascoltare, attanagliata a un’ottusità invalicabile, senza il sapere e senza sfumature.
La Twomey e i suoi collaboratori restituiscono per entrambe le trame (realtà dell’oggi/ leggenda) dei tratti grafici semplici ma dalle sostanziali differenze: mentre la Kabul del 2001 è tratteggiata bidimensionalmente in modo preciso e scarno e virata verso tonalità grige e spente, il racconto fantastico è dominato da colori più accesi (dal blu della notte al più vivido rosa della pelle), in un un suggestivo immaginario "da collage"; memore e degno delle due opere di Tomm Moore ma filtrato attraverso una simbologia visiva ispirata ad opere d’arte afghane e persiane. Il racconto e la morale intrecciano le vicessitudini dell’oggi e la pregnanza metaforica con un ardito slancio svelerà, forse, il segreto legato a Sulayman, il fratello morto di Parvana. La sovrapposizione dei due piani è ammirevole per fascino e complessità, scontando appena qualche soluzione narrativa più artificiosa.
E saranno proprio i panni del fratello scomparso quelli che Parvana indosserà per poter liberamente girovagare tra le strade cittadine, ove una donna nemmeno può aggirarsi e respirare se non accompagnata a una figura di sesso maschile. Attraverso la sua vicenda Parvana imparerà con determinazione a sostenere sé e i suoi cari (la ricerca di denaro per la sopravvivenza) ma verrà sostenuta da almeno due importanti presenze: Razaq, ex soldato analfabeta e ormai anziano, decisivo viatico morale per il tramando culturale tra giovani e vecchie generazioni e, poi, filo di ricongiunzione per il ritrovamento della figura paterna, e la sodale amica Shauzia, a sua volta costretta a fingersi un ragazzo per conformi motivi. Suggellando l’indole di "The Breadwinner" di un femminismo tutt’altro che di circostanza e non certo celato dietro manierismi propri di facili slogan.
Nora Twomey riesce allora a trovare un equilibrio tra le parti, filtrando violenze e turbamenti di una civiltà attraverso un classico e fin arcaio gusto del racconto.
regia:
Nora Twomey
titolo originale:
The Breadwinner
distribuzione:
Wanted Cinema
durata:
94'
produzione:
Cartoon Saloon, Aircraft Pictures, Guru Studio, Jolie Pas, Irish Film Board, Melusine Productions, T
sceneggiatura:
Anita Doron, Deborah Ellis
fotografia:
Sheldon Lisoy
montaggio:
Darragh Byrne
musiche:
Mychael Danna, Jeff Danna