Ondacinema

recensione di Stefano Santoli
6.5/10

Claude Lelouch ha l’inclinazione di giocare con il cinema con una libertà spesso considerata ingenua, criticata alla pari della sua indulgenza al sentimentalismo. Questo suo ultimo film è il – secondo [1] - sequel del suo maggior successo, risalente a 53 anni fa, “Un uomo, una donna”, Palma d’oro a Cannes e Oscar per il miglior film straniero. La pellicola del 1966 narrava l’amore appassionato ma fugace fra due giovani vedovi, Anne (Anouk Aimée) e il pilota di auto da corsa Jean-Louis (Trintignant). Les plus belles années d'une vie, “gli anni più belli d’una vita”, s’intitola il film presentato a Cannes lo scorso maggio, che in Italia esce ora con il titolo di una canzone di Renato Zero. Il che non è un tradimento, ma peggio: infatti, il titolo originale fa riferimento agli anni ancora da vivere. Il riferimento è Victor Hugo: I migliori anni di una vita sono quelli ancora da vivere. Un paradosso ricercato: i due personaggi, come i due interpreti, hanno 89 anni lui, 87 lei. Film geriatrico? Non si direbbe, dalla freschezza condita sì da una certa malinconia, ma anche dalla non stonata leggerezza e ironia con cui Lelouch si riaccosta ai suoi personaggi. Nonostante sfiori il kitsch, sembra che il regista – pure lui non più un giovanotto (di anni ne ha 82) – affronti il rischio con consapevolezza e una certa autoironia.

Il film non è tagliato su misura per i nostalgici e sta in piedi da solo, apprezzabile anche da chi non conosca il film del 1966. Jean-Louis è un anziano ricoverato in una casa di riposo, con grandi difficoltà di memoria ma che conserva il ricordo dell’amore di mezzo secolo prima. Anne gli fa visita su richiesta del figlio. Jean-Louis non la riconosce e lei sceglie di non abbinare la propria presenza attuale al ricordo che lui ha di lei – il cui significato andrebbe svanito se venisse svincolato dalla giovinezza. La frequentazione si fa assidua. Inizia una nuova avventura, forse soltanto immaginata da ciascuno a suo modo. Tra incontri reali ed evasioni oniriche, si instaura una nuova intimità, inclassificabile. La Anne di oggi rimane per Jean-Louis un’estranea, ogni nuovo incontro è spesso un nuovo inizio. Eppure la presenza di lei è in grado di riportarlo in vita proprio perché lo estrania dall’ambiente circostante. Lei mantiene perfetta consapevolezza di ciò che sta accadendo e decide di sostenere il gioco, con un’amorevolezza che è esattamente ciò da cui scaturisce, in lui, la vaga ripresa della vitalità.

Fra tante (troppe) scene prese dal film originale, il film si dipana come un costante gioco di Anne e di Lelouch con la memoria del presente che svanisce mentre si ripresenta quella del passato, sotto le forme del mito. Se Jean-Louis sostiene la parte buffa del film (ma malinconica), ad Anne tocca quella seria (ma tenera). Il film si concentra soprattutto su di lei infatti, su un percorso che la costringe a relativizzare. Anche il sentimento più longevo, per questo “immortale”, dimostra la sua caducità. E non perché si approssimi la morte, ma perché sono la memoria e l’oblio a svincolarlo dalla corrispondenza ad ogni possibile presente, lasciandolo libero di trasformarsi in mito. Un mito che vive ovviamente su un piano diverso dalla realtà in cui ancora Anne è perfettamente calata. Ecco ciò di cui Anne fa esperienza per analogia: la labilità evanescente del passato che si estende a tutto il vissuto. Cosa rimane, fuori dalla solitudine?

La ricerca dell’emozione da parte di Lelouch appare a tratti forzata anche se forse non ricattatoria (difficile però evitare di pensare alla malattia reale di Trintignant). È la debolezza principale del film, che per il resto si rivela esile ma non banale. Un film anche coraggioso, anzi, ma che non vuole prendere troppo sul serio le sue implicazioni, preferendo restare sul piano di un romanticismo a tratti stucchevole. Dunque c’è coraggio, ma fino a un certo punto: come in “un giro a 180 km/h per le strade di Parigi, ma all’alba, quando non c’è nessuno” [2].


[1] Nel 1986, Lelouch aveva già fatto reincontrare Jean-Louis Trintignant e Anouk Aimèe in “Un uomo una donna oggi”, non da considerare tra i suoi esiti migliori. Il film di oggi si ricollega direttamente al capostipite, ignorando completamente, come non esistesse, la pellicola del 1986 in cui i due si ritrovavano a distanza di 20 anni e scoprivano di non poter fare a meno l'una dell'altro.

[2] I numerosi inserti dell’auto che corre a tutta birra per le vie di Parigi sono tratti da "C'était un rendez vous", cortometraggio del 1976 girato da Lelouch su una macchina lanciata a piena velocità. (La citazione riportata fra virgolette è di Giorgio Argenti, che ringrazio per la bella suggestione).


20/09/2019

Cast e credits

cast:
Jean-Louis Trintignant, Anouk Aimée


regia:
Claude Lelouch


titolo originale:
Les Plus Belles Années d'une vie


distribuzione:
Europictures


durata:
90'


produzione:
Les Films 13


sceneggiatura:
Claude Lelouch


fotografia:
Robert Alazraki


scenografie:
Bernard Warnas


montaggio:
Stéphane Mazalaigue


costumi:
Christol Birot


Trama
L’ex campione di automobilismo Jean-Louis si trova ora in una casa di riposo. La sua memoria vacilla ma rimane il ricordo dell'amore vissuto con Anne 50 anni prima. Il figlio decide di andare a cercare la donna, persuaso che se accetterà di andare a trovarlo potrà fare bene a suo padre.