Quattordicesimo lungometraggio di Sergio Rubini, dopo “Il grande spirito” del 2019, “I fratelli De Filippo” costituisce la base per la realizzazione futura di una narrazione seriale avente a oggetto il geniale trio napoletano. Il film si pone quindi, usando le parole dell’autore, come un «teaser per una serie tv» [1], cioè come atto di fondazione di un universo narrativo più ampio che verrà in seguito ampliato e approfondito sul piccolo schermo. Siamo quindi all’interno di una logica seriale e di genere: in questo lungometraggio il regista racconta tanto le personalità dei protagonisti su cui ritornerà in futuro, quanto l’origine delle vicende che saranno narrate in seguito.
L’ultima fatica di Rubini si caratterizza così per questa doppia natura, essendo posto in equilibrio precario tra la rievocazione storica di eventi reali e la fiction narrativa fortemente ancorata a un immaginario di genere, in particolar modo il biopic e il romanzo di formazione. Purtroppo è proprio questa natura ibrida l’aspetto meno convincente del film, dato che il regista non riesce ad amalgamare le due componenti e sceglie di virare nettamente verso la semplificazione finzionale. Le vicende reali dei fratelli De Filippo, non riconosciuti dal padre e raffigurati nella disperata cerca di un’indipendenza tanto economica quanto e prima di tutto identitaria e psicologica, vengono eccessivamente ancorate a un immaginario di genere (quello del biopic e del bildungsroman) rodato ma, proprio perché largamente già visto, trito e banale: l’intera vicenda si sviluppa grazie e unicamente all’ottimistico e incontaminato desiderio di rivalsa sociale che muove Eduardo, ritratto sin da bambino nella caparbia e favolistica convinzione di essere destinato a rivoluzionare il teatro.
Il futuro drammaturgo viene dipinto come un ragazzo ribelle e anticonformista, animato da una granitica voglia di riscatto e da una genialità che nessuno mette in discussione. Quello che ne risulta è un personaggio monodimensionale, fortemente distaccato dalla realtà della persona reale a cui si richiama e legato a doppio filo a una caratterizzazione semplicistica propria soprattutto alle serie tv adolescenziali di categoria più bassa o, tutt’al più, ai protagonisti di un film della Marvel (Eduardo De Filippo affronta la rivoluzione del teatro moderno italiano esattamente con la stessa sicumera e con la medesima assenza di interrogativi con cui Tony Stark salva il mondo).
Allo stesso modo, anche gli altri personaggi non brillano per complessità e approfondimento psicologico, essendo tutti divisi in modo manicheo tra “buoni” e “cattivi”: gli Scarpetta, in particolare, fanno parte di questi ultimi e il loro scopo, dal pater familias Eduardo all’erede Vincenzo, è quello di osteggiare i De Filippo. Purtroppo allo spettatore non viene mai spiegata o minimamente suggerita la ragione di tanta ostilità, cosa che porta ancora una volta questi personaggi a distaccarsi completamente dalle persone reali veramente esistite di cui riprendono il nome e a venire ridotti alla misera funzione di ruoli, cioè di funzioni narrative (quindi di attanti) che esistono unicamente per permettere al racconto di proseguire: i De Filippo si troveranno a perseguire il proprio riscatto personale tanto più decisamente (e ciecamente, senza mai riflettere su se stessi o su quanto accade loro) quanto più saranno assurde le ingiustizie subite e gli antagonisti saranno “cattivi” senza una reale motivazione. Per questo le figure più interessanti del film non sono tanto il protagonista (il giovane Eduardo) e l’antagonista (gli Scarpetta e in particolare Vincenzo), perché eccessivamente compromessi con la propria funzione banalizzante interna al racconto, ma i comprimari Peppino e Titina, dato che sono gli unici in grado di manifestare un minimo dubbio esistenziale relativo al proprio destino e alle proprie scelte, così da possedere una parvenza di sfaccettatura psicologica.
Anche da un punto di vista formale le scelte di Rubini sono determinate da un’adesione passiva ai cliché di genere più rodati. La messa in scena, infatti, si segnala per la povertà di scelte formali, essendo composta soprattutto da inquadrature fisse, primi piani e campi-controcampi, ricordando l’estetica più retriva della televisione attuale, lontano dalla televisione complessa, e vicina agli sceneggiati più convenzionali di Rai e Mediaset.
La sceneggiatura, invece, riprende uno dei meccanismi narrativi più diffusi (e quindi scontati) del genere biopic: la forma circolare, tale per cui il film inizia e si conclude con un episodio di grande importanza per il protagonista, rendendo il resto del lungometraggio un enorme flashback che illumina il significato di questo evento.
“I fratelli De Filippo” esordisce e termina con la scena cardine rappresentante la prima vera affermazione autoriale di Eduardo, avvenuta grazie alla rappresentazione di “Natale in casa Cupiello”. Invece, il resto del film è infarcito di analessi e salti temporali che si segnalano come una delle scelte formali più interessanti del lungometraggio perché sovrabbondanti e talvolta spinte all’eccesso: alcuni flashback sono mal segnalati e non particolarmente chiari per lo spettatore, mentre altri, invece, sono inseriti all’interno di altre analessi costituendo una struttura di salti temporali “a matrioska”. Ne è un esempio la scena terminale del lungometraggio: per via dell’ennesimo litigio, Peppino sta per andarsene dal teatro a pochi minuti dall’inizio della rappresentazione da cui dipende la carriera dei De Filippo. Come detto poco fa, questa scena è la continuazione dell’inizio del film, che costituisce dunque un enorme salto nel passato interno a questo avvenimento cardine. Mentre la macchina da presa indugia sui volti di Eduardo e Titina, che si chiedono con ansia se Peppino tornerà, Rubini decide di innestare un altro flash back, raffigurante i giochi infantili dei fratelli che mimano una rappresentazione teatrale e in cui i due più grandi invitano Peppino a prendere parte al loro gioco.
[1] Damiano Panattoni (a cura di), Intervista a Sergio Rubini, in “Hot Corn”, 23 ottobre 2021.
cast:
Giancarlo Giannini, Biagio Izzo, Marisa Laurito, Mario Autore, Domenico Pinelli, Anna Ferraioli Ravel, Susy Del Giudice
regia:
Sergio Rubini
distribuzione:
01 Distribution
durata:
142'
produzione:
Pepito Produzioni, RS Production, Rai Cinema
sceneggiatura:
Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi, Angelo Pasquini
fotografia:
Fabio Cianchetti
scenografie:
Paola Comencini
montaggio:
Giogiò Franchini
costumi:
Maurizio Millenotti
musiche:
Nicola Piovani