Fernando Meirelles non ha dimenticato la città di Dio. Come uno stigma, la favela brasiliana palcoscenico delle imprese del bandito Dadinho e del fotografo Buscapé, era una storia, un titolo, che con ogni probabilità ha continuato a lavorare nel suo inconscio. Ed ecco allora che il gancio con "I due papi" si sostanzia e prende forma: la Città del Vaticano è, letteralmente, la città di Dio in terra. Un legame che risulta tanto più stretto osservando come nel raccontare l'ascesa al soglio pontificio del cardinale Ratzinger, la crisi del suo papato, e la svolta Bergoglio, Meirelles non rinunci ai toni frenetici del suo cinema pur restando nel solco di una storia che giocoforza punta sui sofismi della parola.
Tra restaurazione e riforma, ancoraggio alla tradizione e apertura al nuovo, la crisi di identità della Chiesa appare talmente enorme da non poter essere compensata neppure dalla contemporanea presenza in scena di due vicari di Cristo. In fondo, sia Ratzinger che Bergoglio (magistralmente interpretati da Anthony Hopkins e Jonathan Pryce, e ai quali – miracolosamente - non serve un filo di make-up per aderire alla parte, quasi vi fossero da sempre stati destinati) sono le due facce della stessa medaglia: entrambi convinti di incarnare la possibilità del cambiamento, per quanto battendo due strade contrapposte, guardano con diffidenza al lavoro altrui, derubricandolo come propensione al “compromesso”, arte che hanno da sempre dovuto esercitare, ma alla quale non riescono ad abituarsi. Ed è qui, in questo cortocircuito, che il film si fa pamphlet politico di inattesa efficacia. Perché, evidenzia Meirelles, il perseguimento di un (ipotetico) bene superiore passa quasi sempre attraverso il compimento di molte (concrete) ingiustizie individuali: in nome di questo opaco bene sono rimaste nascoste le carte compromettenti di abusi sessuali o si è provato a dialogare con le mostruosità di una dittatura.
In questo tiro incrociato di confessioni che mira a scollare l'uomo dal proprio ruolo riconosciuto, "I due papi" mette in scena le differenze di due parabole umane diversissime. Ed i mezzi che usa per tratteggiarle sono, anche loro, differenti. La figura di Ratzinger vive di presente e di racconto orale: è come se il suo corpo fosse fuori dal tempo e fosse sempre stato quello di un vecchio. I suoi ricordi di una vita "prima" sono nebulosi e poco attraenti: la solitudine è la cifra dell'esistenza, lui è il pastore tedesco (il commissario Rex che guarda in tv perché lo fa ridere), il rotweiler di Dio. Di contro Jorge Bergoglio è il cuore pulsante del racconto, è di carne e ossa, corre avanti e indietro nel tempo, è presente, ma anche e soprattutto passato, è una vita vissuta intensamente e segnata dalla dolorosa parentesi della dittatura argentina di Videla.
"C'è un trucco per essere benvoluti come te?", chiede un affranto Benedetto XVI al cardinale Bergoglio mentre l'elicottero li sta portando da Castel Gandolfo a San Pietro. La risposta non c'è: è nello sguardo interrogativo dell'argentino che, come lo spettatore, resta sempre spiazzato dal ritrovare nel capo riconosciuto, la debolezza della ricerca del conforto dei suoi seguaci. Ed ecco che torna l'eco della favela brasiliana: Dadinho che chiede a Buscapé di scattargli delle foto affinché il giornale le pubblichi e così facendo dia un senso al suo ruolo di leader. Un santo o un bandito, sono in fondo, perfetti animali mediatici. Per sopravvivere hanno entrambi bisogno di un bagno di folla o dell'oblio. Silentium incarnatum, è la scelta di Ratzinger. Il volto compresso in una pozzanghera d'acqua, era stata la fine di Dadinho. Resta Jorge, che nel frattempo si fa chiamare Francesco, e scatta fotografie, provando, come Buscapé, a guardare il mondo in faccia, oltre i muri, e gli oceani dei desaparecidos e i giubbetti di salvataggio rossi ammassati sulle spiagge vuote delle nostre coste. Habemus papam, nonostante tutto.
cast:
Anthony Hopkins, Jonathan Pryce, Juan Minujín, Luis Gnecco, Cristina Banegas
regia:
Fernando Meirelles
titolo originale:
The Two Popes
distribuzione:
Cineteca di Bologna, Netflix
durata:
125'
produzione:
Netflix
sceneggiatura:
Anthony McCarten
fotografia:
César Charlone
scenografie:
Mark Tildesley
montaggio:
Fernando Stutz
costumi:
Luca Canfora, Beatriz Di Benedetto
musiche:
Bryce Dessner