Lila (Patricia Arquette) è vittima di una esplosione ormonale che le fa crescere foltissimi peli su tutto il corpo; Nathan (Tim Robbins) è uno scienziato ossessionato dal bon ton che conduce risibili esperimenti sui topi, educati a impugnare le giuste posate quando è il momento del pranzo. Puff (Rhys Efans) è l’uomo selvaggio, frutto di una relazione donna-scimpanzè con una pronunciata ossessione per il sesso; Gabrielle è la bruttina ma sensuale assistente di Nathan sempre a suo agio col camice bianco o in guepière.
Le coppie si fanno e si disfano in continui slittamenti tra il self-control e la sessualità più sfrenata.
Esordio alla regia di Michel Gondry che in fase di scrittura si affida al talentuoso Charlie Kaufman, già sceneggiatore di "Essere John Malkovich" (Spike Jones, 1999).
Proprio Jonze avrebbe dovuto girare il film in questione ma, cavallerescamente, si tirò indietro per favorire il collega Michel.
Sono i tempi di una Nouvelle Vague che in realtà non vide mai la luce: artisti che condividono un certo background (il videoclip), si conoscono e si stimano, si aiutano e credono di poter rivoluzionare il cinema. Sono i Gondry, i Jonze, Cunningham, Sednaoui, Romanek, Corbijn… registi che hanno l’idea del fotogramma come una tela da dipingere e sonorizzare, più ferrati nella concatenazione breve che nel racconto di lungo respiro.
Ognuno di loro proseguirà la sua carriera in solitaria, con alterne fortune.
Quello che sembrava il più talentuoso di tutti, ma anche il più isolato, Chris Cunningham, si è definitivamente perduto.
La storia non decolla.
Gli equivoci di coppia, lo scontro e lo scarto natura-cultura sono rappresentati al limite della banalità e della noia; non c’è un millesimo della profondità tragicomica de "La donna scimmia" (Marco Ferreri, 1964) e neanche lo sbraco pop di un "Bingo Bongo" (P. F. Campanile, 1982).
Gondry cura maniacalmente le inquadrature, i cromatismi e i movimenti di cinepresa ma nella cura del dettaglio perde l’insieme e neanche Kaufman riesce a tenere salde le briglie.
Fa sorridere che a un’avvenente e formosa nanerottola come Patricia Arquette si sia affiancato lo spilungone ed esangue Tim Robbins.
In una storia che è tutta questione di "altezze", intellettuali, sociali e morali, questo ulteriore simbolismo sembra un episodio di umorismo involontario. Rivediamo e riconosciamo gli esterni, la foresta, del fortunatissimo e seminale videoclip che lo stesso Michel ha girato per Bjork, "
Human Behavior" di cui è certamente un pretesto.
Apprezziamo il lavoro sulla fotografia sporcata e riquadrata nei flashback, oppure ariosa e panoramica negli esterni e fredda e appiattita nei luoghi chiave delle convenzioni sociali, che si vogliono comunicare come una prigione, dalle camere da letto all’aula di tribunale.
Tutto ciò però non fa decollare la storia, sia perché slegata sia a causa di una mediocre direzione dei pur bravissimi quattro attori principali che non riescono a comunicare un grammo di empatia e sembrano invece fare a gara a non pestarsi i piedi a vicenda col risultato che li lasciamo volentieri al loro destino, quale esso sarà.
18/06/2013