"E chi cazz’è Henry?"
Il destino del Mc Guffin resta sempre quello: si gioca al gatto e al topo, si affrontano pistole e machete, si resta a terra tramortiti o ammazzati da statuette del Colosseo, lame da mezzo metro, pallottole esplosive, ma alla fine c’è sempre qualcuno che domanda, quasi ingenuamente: "E chi cazz’è Henry?"
Henry è l’eroina di qualità superiore, un mercato di alto livello conteso tra una banda del Ghana e una di Civitavecchia.
La nostra storia invece parte dal "basso", dalla vita quotidiana dei giovani Nina (Carolina Crescentini) e Gianni (Michele Riondino), tossici occasionali per "seratine" a base di sesso e droga, e del loro pusher di fiducia, Spillo, ammazzato misteriosamente in casa insieme alla madre.
Da questo punto in avanti Roma diventa il palcoscenico di un giallo-noir-pulp con punte di comicità feroce e confessioni con sguardo fisso in macchina che sembrano provenire direttamente dall’oltretomba.
Tratto dall’omonimo romanzo di Giovanni Mastrangelo, "Henry" è un low budget (girato in HD, con attori a paga sindacale) presentato in anteprima al Torino Film Festival 2010 (unico italiano in gara e vincitore del "premio del pubblico") e rimasto nel cassetto per oltre quindici mesi senza un reale motivo che non sia un altro tassello da aggiungere ai grandi misteri della distribuzione italiana.
Il film, piacevole e avvincente oggi come nel 2010, segue lo sbarco del giovane e talentuoso Alessandro Piva nella Capitale, fotografata torva nei suoi scorci meno turistici e percorsa dalla sordida colonna sonora di Andrea Farri che non si è certo ispirato alla serie lounge dei Café del Mar di Ibiza.
Storia polifonica e caotica, può essere sintetizzata in tre grandi blocchi attoriali: i buoni (la polizia, l’etico e straniato Commissario Silvestri interpretato da Claudio Gioé in coppia con l’ambiguo Bellucci, Paolo Sassanelli), i cattivi (il derby multiculturale tra Ghana e Civitavecchia) e i deboli, destinati a pagare più di tutti. La recitazione "prende in prestito" molti stilemi degli eventi di sangue "ricostruiti" sul piccolo schermo da tutti quei programmi pomeridiani e di seconda serata: straniata, quasi improvvisata, in dècor naturali confusi, casuali, messi in ombra e resi sordidi da una fotografia volutamente amatoriale e fredda.
Le "confessioni" assomigliano molto ai video-fai-da-te di YouTube che fanno spesso da preludio a azioni estreme del mondo reale che vorrebbero essere delle giustificazioni a posteriori.
Non c’è più un Tribunale dove far basculare la bilancia della giustizia ma una persuasione somministrata direttamente a un pubblico giudicante coi pulsantini del "mi piace" o "non mi piace".
La forza del film sta tutta nella spasmodicità di eventi che precipitano e arrivati al fondo iniziano a scavare con le unghia insanguinate.
A darne spessore, l’uso calibrato del cast da cui emergono l’iper-attiva Carolina Crescentini, una tossica del week end che l’obnubilamento dell’eroina rende anche più morbida e sensuale, e Pietro De Silva, che interpreta Rocco, un rottame ex fotografo cinquantenne cui sono affidate le considerazioni più ciniche e amare.
Piva, dopo "La capagira”" riunisce anche la coppia Sassanelli-Abbrescia che vediamo nei panni di un killer antropomorfo solo perché si regge sulle due gambe e che non sarebbe dispiaciuto al Quentin Tarantino di "Pulp Fiction" da cui molto è stato preso in prestito, sia nella costruzione del personaggio di Mia Wallace (Nina), sia in quel lurido accappatoio giallo che Spillo si è fatto prestare dal pusher interpretato da Eric Stoltz. Ma questa volta non c’è siringa che possa rianimarlo.
cast:
Carolina Crescentini, Paolo Sassanelli, Claudio Gioè, Michele Riondino, Dino Abbrescia
regia:
Alessandro Piva
distribuzione:
Iris Film
durata:
86'
produzione:
Seminal Film - Bianca Film
sceneggiatura:
Alessandro Piva
fotografia:
Lorenzo Adorisio
scenografie:
Marianna Sciveres
montaggio:
Alessandro Piva
costumi:
Carolina Olcese
musiche:
Andrea Farri