recensione di Martino Buora
Come recita un noto adagio, i bambini non devono accettare caramelle dagli sconosciuti; in realtà, a volte, anche gli sconosciuti non dovrebbero accettare caramelle dai bambini.
L'ammonimento dei genitori prima di mandarci a giocare nei giardinetti non è l'unico elemento dell'infanzia che questo film fa riemergere; in effetti, viene naturale richiamare anche la letteratura delle fiabe per bambini (che poi a pensarci bene tanto per bambini non erano, vedi "Cappuccetto rosso" e "Barbablù") dopo la visione di "Hard Candy", controverso esordio cinematografico del regista di
videoclip David Slade. In proposito si deve rilevare che il passaggio
videoclip-cinema, solitamente traumatico per lo spettatore, avviene qui con buon esito grazie a una sceneggiatura solida - pur non priva di alcuni scambi didascalici - e grazie a due attori decisamente credibili nei rispettivi ruoli, non certo facili.
Ellen Page interpreta il ruolo di una ragazzina quattordicenne (Hailey Stark) che, tramite una chat, frequenta un fotografo, Jeff Kohlver (l'attore Patrick Wilson), che ne conquista la fiducia e, per incontrarla e conoscerla al fine di decidere se fotografarla o meno, le dà appuntamento per una merenda in un bar. Da lì i due si recano a casa del fotografo dato che questa è anche il set fotografico che lui usa per il suo lavoro.
Inutile aggiungere ulteriori dettagli circa la trama di questo piccolo
cult che, in effetti, ruota attorno a elementi non nuovi del genere giallo: un crimine, un sospetto e un detective, tuttavia declinati in una versione speciale: il crimine presunto è dei più terribili (il ratto a fini sessuali e l'uccisione di una ragazzina), la colpevolezza del sospetto è tutta da dimostrare (ma il detective ha fatto i compiti a casa) e sulle tecniche di indagine - specie come ottenere una confessione - si potrebbe discutere a lungo.
Protagonista del film è in realtà la sceneggiatura quasi teatrale - come del resto l'unica quinta in cui si svolge l'azione - quale veicolo che, rovesciando i ruoli convenzionali, contribuisce a tenere alta la tensione: non è chiaro e non lo sarà, forse, nemmeno alla fine chi sia il colpevole e, nel caso, di cosa esattamente sia colpevole: attraverso i dialoghi, gli scambi di battute e le allusioni, i due (praticamente unici attori e protagonisti) si scambiano di ruolo - da vittima a carnefice, da preda a cacciatore - nel claustrofobico terreno di caccia rappresentato dalle quattro mura di una abitazione sulle colline della California del sud.
E per effetto proprio dei dialoghi, delle umane parole ingannevoli e non persuasive, quando non sorrette anche da azioni (e noi nulla sappiamo delle vite dei protagonsti), che lo spettatore si sorprende a oscillare da un protagonista all'altro, senza sapere a chi dei due credere e da che parte stare, senza riuscire cioè, in ultima analisi, ad accomodare la propria coscienza nella facile distinzione buoni/cattivi. Il regista, poi, soffermandosi con primi piani sui volti degli attori, sembra quasi provocarci a testare la veridicità delle loro affermazioni, alla luce degli scarsi indizi di fatto sparsi qua e là lungo il film.
In ogni caso, "Hard Candy" mostra due prove attoriali di spessore e, anche in considerazione della scabrosità del tema sotteso, ha contribuito a lanciare la giovane attrice Ellen Page, diciottenne all'epoca delle riprese (e scelta anche perché non ne dimostrava più di 15, come oggi del resto!), che quest'anno ha raggiunto grande notorietà negli Usa grazie a "Juno".
Vedere questo film è, dunque, l'occasione migliore per scoprire il lato oscuro di questa attrice che proprio "Hard Candy" ha contribuito a mettere in evidenza sulla affollata mappa di Hollywood.
20/06/2008