Ci sono almeno due Atom Egoyan: quello della prima fase, il cui temine possiamo datare con l'uscita nel 1997 de "Il dolce domani" e l'altro, giunto ai nostri giorni a partire da "Il viaggio di Felicia". Del segmento iniziale, i più vecchi, oltre ai nomi dei lungometraggi, ricorderanno certe arditezze sperimentali, rese manifeste da uno stile ellittico, fatto di continue digressioni narrative e di estensioni temporali, del successivo, invece, a colpire è il ridimensionamento delle ambizioni, soprattutto formali, dovuto all’adozione di codici e tecniche incapaci di andare oltre la routine da cinema mainstream, con film come "Chloe - Tra seduzione e inganno" e "The Captive - Scomparsa" in cui il fascino e il mistero delle opere giovanili lasciava il posto a stereotipi e prevedibilità.
Una schizofrenia cinematografica che non ha impedito al regista di origine armena di mantenere invariate alcune costanti della sua poetica come, per esempio, la predilezione verso personaggi irreprensibili in superficie, ma borderline nell’anima e in un'ambiguità della percezione spesso alterata dall’uso improprio dello strumento mediatico. Da questo punto di vista "Guest of Honour" conferma tali caratteristiche attraverso la figura di Jim, un ispettore sanitario la cui figlia, insegnante di liceo, viene arrestata con l’accusa di aver molestato uno dei suoi allievi. Se a raccontarlo così, l'incipit del film delinea in maniera netta schieramenti e ruoli dei personaggi, "Guest of Honour" non impiega più di tanto a sparigliare le carte, rendendo sempre meno chiare le posizioni dei protagonisti, ognuno per la sua parte, costretto a fare i conti con i fantasmi del passato famigliare.
Alle verità che si sgretolano con il succedersi delle scene, Egoyan affianca una struttura narrativa esplosa in mille pezzi ognuno dei quali coerente al proprio interno fino a quando non si deve confrontare con il tassello narrativo che segue. Come fosse un topo che si morde la coda, "Guest of Honour" fa e disfa le vite dei personaggi, mostrando, e spesso omettendo - anche semplicemente con un fuori campo -, dettagli (delle giornate di lavoro di Jim, dell’infanzia della figlia e di lei adulta con la sua classe di studenti) destinati a fare comparsa negli inserti successivi, appena in tempo per sconfessare gli sforzi dello spettatore, impegnato a farsi un quadro possibile della situazione.
La distanza impiegata dalla mdp per raggiungere il palco di un concerto ripreso a inizio film con un campo lunghissimo e invece occupato di sana pianta e restituito con un campo medio chiarificatore al termine della storia, sarà quella percorsa da "Guest of Honour" per mettere in ordine i fatti e, con essi, le azioni dei personaggi. Se un tempo ci sarebbe arrivato per vie impervie e non pronosticatili, il nuovo Egoyan si limita a ricostruire la vicenda attraverso la fitta chiacchierata tra la figlia di Jim e il prete che il giorno dopo dovrà celebrare i funerali del primo, e dunque con flashback (talvolta improbabili quando si tratta di riferire avvenimenti di cui non potevano sapere) e voice over utili a fornire l’orientamento narrativo allo spettatore, ma indicativo di come la fantasia del regista canadese si sia impigrita, accontentandosi di scorciatoie da film televisivo.
Confezionato dalla fotografia patinata - dell’anche lui per certi versi irriconoscibile - di Paul Sarossy, sodale di Egoyan nei suoi lavori più celebri, "Guest of Honour" può contare sul valore aggiunto di un grandissimo David Thewlis, davvero efficace nel far trapelare dall’aria sorniona e dal fare taciturno di Jim scintille di raggelante inquietudine. Come per Dujardin quello di Thewlis non è solo un ritorno gradito, ma il preludio alla sfida per aggiudicarsi la statuetta per il migliore attore. Con Phoenix, Pitt e lo stesso Dujardin già candidati alla Coppa Volpi (e senza dimenticare Banderas vincitore a Cannes) la kermesse veneziana potrebbe dare indicazioni utili per stilare i pronostici.
cast:
David Thewlis, Laysla De Oliveira, Luke Wilson, Rossif Sutherland, Alexandre Bourgeois
regia:
Atom Egoyan
durata:
105'
produzione:
Ego Film Arts, The Film Farm
sceneggiatura:
Atom Egoyan
fotografia:
Paul Sarossy
scenografie:
Phillip Barker
montaggio:
Susan Shipton
costumi:
Lea Carlson
musiche:
Mychael Danna