"Mah, forse sono un po' testuto. Si vede che siamo tutti così in famiglia. Mio padre era un po' testardo, mia madre era un po' cocciuta e così sono venuti fuori i testuti e i cocci sono suoi"
Nel 1933 il mondo non era pronto per i Fratelli Marx, figuriamoci se potesse essere pronta Hollywood. Accogliere i quattro fratelli e la loro comicità fuori da ogni logica del tempo era un'impresa impossibile e infatti la gloriosa Paramount decise di non rinnovare ai quattro il contratto proprio all'indomani del fallimento de "La guerra lampo dei fratelli Marx". Il film, infatti, ottenne scarsi riscontri di pubblico e un'accoglienza critica molto tiepida, tanto che in molte recensioni venne definito come deludente e molto meno divertente delle altre
perfomance già apprezzate negli anni addietro.
Ora, per fortuna, non c'è bisogno di questa pietra miliare per fare di "Duck Soup" un monumento capitale del cinema comico e della satira cinematografica. Il motivo di questo apprezzamento tardivo è semplice: il tempo giusto per capire appieno la genialità di Groucho e soci è giunto con decenni di ritardo rispetto alla loro vita terrena. La considerazione è valida per tutta la carriera del gruppo, ma lo è ancora di più proprio per "La guerra lampo", la cui corrosiva e implacabile ironia su un mondo pronto a rivivere un secondo conflitto mondiale risultò da una parte fin troppo sofisticata e dall'altra odiosamente da evitare e, dunque, da censurare.
Libertà, al cinema si può sognare davvero
Prendete uno Stato che viene definito "non libero", dategli una sorta di dittatore demente cui vengono attribuiti pieni poteri, mettetegli accanto un Paese confinante con cui possono esserci delle tensioni e poi fate scoppiare una guerra. Il protagonista di questa rutilante farsa è Rufus T. Firefly, interpretato dalla maschera esilarante, ma sempre malinconica, di Groucho: sopracciglia e baffi dipinti, inseparabile sigaro in bocca, andatura dinoccolata, favella a mitraglia. Il suo stile comico viene dunque catapultato, come al solito, in una realtà totalmente contrastante con il piglio della sua recitazione. Firefly deve gestire la delicata situazione del rapporto tra Freedonia e la vicina Sylvania, il cui ambasciatore Trentino (Louis Calhern) è sul punto di dichiarare guerra. Senza mai specificare i motivi che rischiano di portare al conflitto, da una parte Groucho e dall'altra i due scagnozzi del rivale, ovvero Chicolini (Chico Marx) e Pinky (Harpo Marx), proseguono le loro azioni
nonsense, in un vortice di situazioni episodiche che dal comico sfiorano il grottesco.
Si diceva di uno stile difficile da comprendere per il pubblico degli anni 30, spiazzato, in effetti, da questo raffronto evidente: nei film dei Marx tutti recitano parti serie tranne loro. Sono loro che portano scompiglio dileggiando l'autorità precostituita, il perbenismo imperante, la concezione di mondo occidentale accolta dall'opinione pubblica. Mentre politici, diplomatici e aristocratici parlano di guerra e pace, prendendosi terribilmente sul serio, Groucho, Chico e Harpo mettono in scena la loro commedia demenziale.
Un intellettuale dietro la macchina da presa
Va detto che in questo, nel portare all'apice del risultato una precisa scelta di narrazione, ha un grande peso specifico la classe e la maestria di Leo McCarey dietro la macchina da presa. Regista colto, intellettuale prestato al cinema, McCarey fu uno dei Re Mida della Hollywood fra gli anni 30 e 40, un cineasta capace di mimetizzarsi perfettamente e sacrificare la sua visione di cinema a favore dei divi che ha diretto di volta in volta. Nonostante siano diventati leggendari gli scontri sul set tra il regista, devoto della disciplina durante le riprese, e i fratelli, che pretendevano di modificare la sceneggiatura in corso d'opera, è proprio grazie a McCarey che "La guerra lampo" entra nell'Olimpo dei capolavori della Settima arte: con trovate geniali e spiazzanti, la messa in scena alterna sapientemente gli sketch comici a sprazzi di cinema d'alta classe. Le scene corali, ad esempio, con omaggi ripetuti al musical, sono pezzi di grandissimo cinema, le migliori occasioni, oltretutto, per mettere in risalto la bravura di tutti i comprimari, giustamente fondamentali nella produzione marxiana.
Oltre al citato Calhern, ruolo essenziale nella vicenda è quello di Margaret Dumont, che qui interpreta la signora Teasdale, coscienza saggia e romantica dello Stato di Freedonia, spudoratamente corteggiata da Firefly. Come al solito, la Dumont si ritaglia un ruolo strategico: è la spalla della star comica, la presenza scenica indispensabile affinché tutta la forza verbale di Groucho possa esplodere dinanzi all'interlocutore. Tutti i campioni della comicità hanno fatto vivere di luce riflessa degli attori o attrici bravissimi nel loro giocare di sponda e Groucho ci è riuscito con la Dumont.
La satira che nessuno volle capire
Il film di McCarey è un momento essenziale nella carriera dei Fratelli Marx, anzi, ne segna un punto di svolta. Dalla comicità immediata degli esordi, del vaudeville e di Broadway, all'ambizione di poter guardare con un occhio critico e spietato una realtà contemporanea sull'orlo del baratro. L'ascesa del nazismo, le teorie antisemite di Hitler, l'espansionismo tedesco, visto con distacco e snobismo dal mondo dello spettacolo Oltreoceano, erano materia troppo ghiotta per la genialità della compagnia. Nel perseguire tale ambizioso obiettivo, le prove di ognuno dei fratelli sono al massimo delle loro possibilità. Chico, da sempre affezionato a una comicità fisica, tutta giocata sull'effetto buffo e ridicolo del suo personaggio di origini italiane, trasforma Chicolini in uno zimbello del campo di battaglia, che passa da uno schieramento all'altro senza neanche rendersene conto. È lui che traina i momenti più clamorosamente divertenti, è la sua abilità nell'uso della mimica facciale e del corpo a catalizzare l'attenzione sulle gag che spezzano il fluire della vicenda per regalare allo spettatore i momenti di maggiore e incontenibile ilarità.
Poi c'è Harpo, che insiste nel suo consapevole mutismo e continua a recitare senza proferire parola, omaggio vivente dei Fratelli all'era del cinema muto che andava esaurendosi e al tempo stesso ideale ponte di collegamento con la commedia
slapstick. Un campione silenzioso, un talento che, considerato ora, ha il sapore nostalgico di una tecnica recitativa caduta in disuso negli anni.
Le maschere dei fratelli: così esilaranti, eppure così serie
Una piccola menzione la merita pure Zeppo, qui al suo ultimo ruolo cinematografico, come sempre di contorno, come sempre trascinato dal carisma dei fratelli, lui che di imponente aveva il fisico ma non certo la grinta davanti a una macchina da presa. Un gigante gentile che si lasciava placidamente oscurare dalla verve degli altri tre e che capì proprio mentre prendeva parte al loro progetto più importante che questa non era anche la sua strada, sebbene la madre, agente e
talent scout della combriccola, insistesse perché non lasciasse lo spettacolo e continuasse a fare da spalla del gruppo.
Per ultimo c'è lui, Groucho, l'uomo dalle mille citazioni, il creatore di una tecnica di comicità che ha avuto centinaia di imitatori ma nessun vero erede legittimo. Le battute diventate di culto che pronuncia ne "La guerra lampo" meriterebbero una pagina a parte; ma d'altronde questo era il suo dono innato: l'arte della parola, del fraintendimento, della presa in giro basata sul malinteso. Groucho aveva una capacità unica nel ritmare i tempi comici, nell'estrarre dal cilindro la frase senza significato che capovolgeva dal nulla tutta l'atmosfera della sequenza. Scoperto in Europa come un vero Maestro soltanto negli anni 60, la sua resta comunque anche una maschera tragica, se si vuole. Così audace nel voler satireggiare sulla contemporaneità da andare incontro a censure, isolamenti, critiche e incomprensioni. Il pubblico voleva più sketch e meno parole, non riusciva a seguire il suo fluviale parlare in scena, si divertiva di più a seguire le gag corporee di Chico e Harpo. Ma queste erano possibili proprio perché c'era Groucho a bilanciarle, a renderle ancor più paradossali nel complesso di una narrazione che prendeva piede in contesti fintamente drammatici. Il personaggio di Rufus T. Firefly resta la sua creazione più riuscita e anche più ambiziosa. La stoltezza del capo di Stato che va in guerra senza neanche accorgersene, che provoca un conflitto per troppe parole pronunciate a sproposito e che persegue nella sua quotidianità folle mentre tutto attorno va a rotoli, è la colonna portante di tutti i settanta minuti. È attorno a lui che McCarey imbastì il funambolico gioco di comparse e scomparse dalla scena. Fu un condottiero nascosto, che cresce visione dopo visione a distanza di anni. Si diceva che un merito da riconoscere ai Marx fosse la loro umiltà nel camuffarsi all'interno di un cast corale, permettendo a tutti i comprimari di dare il meglio e di emergere a turno per dimostrare tutto il proprio valore. È vero, ma solo in parte. Si tratta di un universo di interpreti che ruotano come satelliti attorno a loro, che si servono della loro forza propulsiva per entrare in azione.
70 minuti di momenti cult
Oltre alle battute di Groucho, "La guerra lampo" consegna alla storia del cinema scene in abbondanza replicate, imitate, studiate nel corso dei decenni. Gli sketch demenziali con protagonisti Chico, Harpo e il venditore ambulante, lo scambio frenetico dei cappelli, gli inserti musicali che anticiparono una delle mode in voga nel decennio successivo proprio a Hollywood, la scena dello specchio, che esalta non solo la maestria registica di McCarey ma anche le incredibili doti di affiatamento dei fratelli in scena. Settanta minuti soltanto, ma colmi di istanti memorabili.
Poi c'è il giallo del titolo originale, scolpito anche dalla scena d'apertura sui titoli di testa, "Duck Soup", "zuppa d'anatra". Che cosa vuol dire? Groucho disse che non significava nulla ma se ""prendete due tacchini, un'oca, quattro cavoli, ma non un'anatra, e li mescolate insieme, dopo un assaggio, mangerete zuppa d'anatra per il resto della vostra vita".
10/02/2016