A volte certi personaggi solo il cinema li può partorire perché solo in questo magnifico mondo possono trovare forma e consistenza. Marino Pacileo, detto Gorbaciof, è sicuramente uno di questi. Cassiere corrotto del carcere di Poggio Reale di giorno, lupo solitario che brancola tra le strade di una Napoli multietnica di notte. Il film è semplicemente lui e tanto basta. Intorno ad egli ruota giorno dopo giorno la sua vita: il lavoro, il gioco d’azzardo, l’incontro inaspettato con Lila, e con l’amore. In una messa in scena semplicissima, il film scorre su binari limpidi e lineari come dimostra la schematicità delle azioni del protagonista (il tragitto lavoro - ristorante cinese - casa, ad esempio), senza che la mdp decentri mai la sua attenzione sugli altri personaggi, secondo una struttura rigorosamente centripeta e centralizzata.
Ora, cosa fuoriesce dal personaggio di Toni Servillo? In altri termini, come si sviluppa il film? Se esiste un messaggio universale che traspare dalle immagini, paradossalmente questo sa tanto di incomunicabilità, barriera, solitudine. I dialoghi sono scarni e rasentano il minimo indispensabile, la diversa lingua di appartenenza non facilita il linguaggio verbale tra Gorbaciof e Lila, (tra l’altro l’attrice Yang Mi ha davvero recitato la sua parte senza capire una sola parola d’italiano, rafforzando così il messaggio di isolamento che si viene a creare). Tutto il film gioca invece sulla gestualità, sull’espressione facciale, sulla liricità delle immagini. Non a caso il cast proviene dall’originario palcoscenico teatrale (ricordiamo anche gli ottimi Geppi Glesejes e Nello Mascia) ed ecco spiegata una sequenza così apparentemente grottesca come quella della metropolitana, nella quale un ragazzo si diverte a scimmiottare i passeggeri e il nostro reagisce scimmiottando a sua volta. Il gesto predomina sulla parola, quasi la anestetizza, fino a renderla inutile. Anche senza di essa l’animo sorprendentemente romantico di Gorbaciof potrà essere capace di proteggere ed amare (“In mancanza di leoni, le scimmie si ergono tali ma sempre scimmie rimangono. Tu sei una tigre” dirà Lila nella sua unica battuta nel film).
Il finale se da un lato verte irrimediabilmente verso la prevedibilità e l’ovvietà, regala dall’altro un’immagine ineffabile di un destino quanto mai beffardo, un sottile riso ironico ai soliti clichè del genere. Insomma un’originale veste di come si possa miscelare ferocia e stoltezza. Stefano Incerti ritorna al tema malavitoso dopo “L’uomo di vetro” ma con ideologie diametralmente opposte. Se in quel caso denuncia, qui si apre ad una visione solenne e lirica, con una sceneggiatura asciuttissima (secondo alcuni punti di vista pure troppo) e una direzione che non ha avuto bisogno né di carrelli, né di steadicam (lo sottolinea lo stesso regista) al fine di risultare maggiormente incisivo, diretto. E in un film che innegabilmente regge grazie alla prova d’attore di un Servillo perfetto ed essenziale (esistono più aggettivi per descrivere la grandezza di questo attore?), non ci si può esimere da quella che a detta dell’interprete napoletano è stata la sua ispirazione che ha portato alla realizzazione del personaggio di Gorbaciof: quel Charlie Chaplin che in “Luci della città” vagabonda senza meta tra le strade della sua città, proprio come Marino Pacileo, detto Gorbaciof, in quelle di Napoli.
cast:
Toni Servillo, Mi Yang, Geppy Gleijeses, Nello Mascia, Gaetano Bruno, Salvatore Striano, Salvatore Ruocco
regia:
Stefano Incerti
titolo originale:
Gorbaciof
distribuzione:
Lucky Red
durata:
85'
produzione:
Devon Cinematografica, Surf Film, Bottom Line, The, Teatri Uniti
sceneggiatura:
Diego De Silva, Stefano Incerti
fotografia:
Pasquale Mari
scenografie:
Lino Fiorito
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Ortensia De Francesco
musiche:
Teho Teardo