Le periferie di Roma come sineddoche di un'Italia orribile e quasi invivibile, popolata da emarginati e fantasmi senza futuro, ancora incapace di dirsi multiculturale e che lascia irrimediabilmente da parte chi si perde. Tratti cupi, drammatici, neri, amari, claustrofobici, a volte grotteschi, formano il ritratto di due solitudini parallele e speculari: quella di Aman (Said Sabrie), romano di origine somala, carattere difficile, bugiardo, sfacciato, arrabbiato, ribelle, fissato con le auto di lusso, e quella di Teodoro (il sempre ottimo Valerio Mastrandrea), ex pugile quarantenne, impasticcato, vittima degli errori del passato, che vive chiuso in casa da tre anni a guardare la televisione, ad ascoltare sempre la stessa canzone e fissare un quadro comprato a una televendita. Entrambi non riescono a dormire, si conoscono una notte sul tetto del palazzo di Teodoro e diventano un sostegno reciproco in un universo che, indipendentemente dall'origine e dal colore della pelle, può fare a meno di loro.
"Goodmorning Aman" evita i facili luoghi comuni della storia a sfondo razziale e restituisce due personaggi credibili, senza retorica o pietismo, rivelati per gradi dalla sceneggiatura. Approccio intelligente e onesto di Claudio Noce, all'esordio nel lungometraggio; progetto curato per tre anni e che idealmente parte da dove il corto "Adil e Yusuf" era terminato. Noce dirige bene gli attori, ma pecca di un certo manierismo formale che sembra un compendio di stili: ralenti a profusione, profondità di campo, sguardi in macchina,
voice over, effetti sonori, musiche invadenti,
long take, camera a mano, micro elissi, campi ravvicinati; come a mostrare di sapere controllare un repertorio accademico di cui però a volte abusa, pagando un appiattimento nei momenti più drammatici che rischiano di non emergere dallo sfondo.
Contrappunto alla storia le telefonate di Aman all'amico emigrato a Londra, che sintetizzano il dualismo tra il restare e il partire, il lottare e lo scendere a compromessi, e gli incontri con una ragazza
border line dalle attività poco chiare - generosa come sempre Anita Caprioli. Scene forti, soprattutto nella seconda parte del film, tra cui ricordare una cena tra ex pugili dai volti di grottesca fattura pasoliniana in chiave moderna.
Emarginazione, incapacità di adeguarsi alla società e solitudine non conoscono etnia o professione. Non esistono gruppi, tanto meno esistono più le famiglie, se non come nuclei confusi o come resti del passato. Domina l'individualità dettata dalla disgregazione quasi forzata, le forme di aggregazione (difficile dire amicizia) si sviluppano per necessità e tra chi si riconosce (altre persone sole, o emigrati, o vittime dalle stesse esperienze). Tutti i personaggi covano rabbia e frustrazione, desideri di rivalsa, vendetta e cambiamento. Perfino le poche donne presenti sembrano non poterlo evitare. Il punto di vista rimane principalmente quello di Aman, e il nucleo narrativo il rapporto tra due personaggi soli, disperati, differenti e simili allo stesso tempo, che cercano la propria identità perché dimenticati e messi da parte. Ma se per Teodoro sembra non esserci speranza e redenzione, Aman ha ancora qualche possibilità di riscatto e di ritagliarsi una via di fuga. Mastrandrea (anche in qualità di coproduttore) è come al solito perfetto nel valorizzare le battute o anche solo nel controllo delle più piccole espressioni - sguardo catalettico e volto sbattuto -, e Sabrie dimostra sincera partecipazione.
22/11/2009