Alle prese con un canovaccio che fin dall'enunciazione del titolo si propone di rappresentare i comportamenti di una gioventù apatica ed anaffettiva - denominati da Bruno gli sfiorati per il fatto di attraversare qualsiasi tipo di esperienze senza lasciarsene coinvolgere- il film di Matteo Rovere sembra mettere in scena alcuni must del suo produttore a cominciare dai motivi della crisi, qui come altrove ("L'ultimo bacio") frutto di un malessere esistenziale a cui non è estranea la componente famigliare, e destinato ad esplodere con l'entrata in scena di un corpo conturbante ed adolescenziale - Belinda interpretata con un misto di innocenza e trasgressione da Miriam Giovanelli ricorda Francesca il personaggio interpretato da Martina Stella nel film di Muccino - capace di portare a galla i fantasmi di una personalità, quella di Metè, fragile ed irrisolta. E poi nello sviluppo di una parabola esistenziale che alla maniera di un film come "Il passato è una terra straniera" (altro film Fandango datato 2008), costruisce un percorso di smarrimento e di perdita alla fine del quale è possibile iniziare la nuova vita. A rafforzare la sensazione di rendez - vous c'è poi la scelta di eliminare quasi del tutto l'introspezione a favore di un'analisi costruita dall'esterno, con i caratteri dei personaggi ricavati dall'associazione con elementi che gli appartengono in maniera indiretta, come il decor degli ambienti esibito con il relativo sovraccarico di oggetti, un' acconciatura di capelli come quella sbarazzina e sempre in piega che Beatrice usa per soffocare l'amarezza di un esistenza insoddisfacente, la scelta di vestiti succinti come quelli di Belinda che ne enfatizzano il carattere istintivo e diretto, oppure dalla presenza di una canzone, il finale è suggellato da un hit di Eros Ramazzotti, utilizzata come manifesto poetico della storia.
Strategie che indipendentemente dalla loro origine potrebbero funzionare se supportate da un idea forte che in altri momenti era stata lo specchio di un attualità ritratta attraverso i tic e le abitudini di un campione della nostra società. In questo caso invece il film di Matteo Rovere appoggiandosi su un romanzo scritto agli inizi degli anni 90 finisce per parlare di un umanità ormai superata. I suoi personaggi pur facendo leva sull'insopprimibile guasconeria latina che il film si porta in dote con il personaggio di Michele Riondino, una specie di Lucignolo fanfarone ed inaffidabile, finiscono per assomigliare a quelli che fluttuavano senza meta nei romanzi di Brett Easton Ellis o in un film come "Meno di zero" e, per tornare a tempi più recenti ai rampolli hollywoodiani descritti da "The Informers"(2008). Ed anche quando il film tira giù la maschera e si propone come ennesima variante di un machismo costretto a fare i conti con una nemesi femminile di irresistibile richiamo, lo fa con ammiccamenti e luoghi comuni (le inquadrature di Belinda distesa sul letto con mutandine in primo piano sembrano prelevate dal filone di "Malizia"). Matteo Rovere già abituato a mettere in scena lolite mangia uomini ("Un gioco da ragazze",2007) confeziona un film che alterna momenti di ordinaria amministrazione ad altri, come quelli in cui il protagonista è vittima di ripetute allucinazioni che lo fanno vedere levitare nella sua forma astrale, in cui lascia presagire potenzialità che nel film rimangono inespresse. E se la sceneggiatura penalizza i ruoli secondari lo stesso non si può dire per quelli interpretati da Andrea Bosca e Miriam Giovanelli: seppur all'interno di un contenitore che tende a normalizzare le peculiarità, entrambi e per opposti motivi riescono a rendere credibile quello che fanno. Il primo lavorando di sottrazione, la seconda contenendo i rischi di un eccessiva tipizzazione. Sono loro la vera sorpresa del film.
cast:
Miriam Giovanelli, Michele Riondino, Claudio Santamaria, Asia Argento, Andrea Bosca
regia:
Matteo Rovere
distribuzione:
Fandango
durata:
111'
produzione:
Fandango, Rai Cinema
sceneggiatura:
Laura Paolucci, Francesco Piccolo, Matteo Rovere
fotografia:
Vladan Radovic
scenografie:
Alessandro Vannucci
montaggio:
Giogio Franchini
costumi:
Monica Celeste
musiche:
Andrea Farri
Méte è tormentato dalla perdita della madre e disorientato dall'imminente matrimonio del padre in procinto di sposarsi con la donna per la quale a suo tempo aveva lasciato la famiglia. La situazione diventa critica quando la sorella di cui è segretamente invaghito decide di trasferirsi presso di lui