Se dovessimo scegliere un frammento che meglio di altri può aiutare a cogliere il senso ultimo del film di Germano Maccioni, decideremmo per quello piazzato dal regista a metà della storia. A caratterizzare l'inquadratura, realizzata in campo lungo, ci sono Pietro, Ivan e Cosmo, i tre ragazzi protagonisti della vicenda, ma soprattuto c'è il paesaggio circostante. Giocando con le prospettive e restringendo la profondità, Marconi fa si che la struttura della centrale astronomica (la stessa in cui la Monica Vitti di "Deserto rosso" si ritrova a camminare) posta sullo sfondo, risulti in qualche modo accostata al rudere di una casa colonica filmata in primo piano, a definire, non solo il contesto ambientale in cui si svolge la vicenda (collocata nella pianura della bassa padana) ma anche il senso di questa composizione, con la centrale, simbolo di un presente sfuggente e indecifrabile, messa a confronto con le rovine dell'antico edificio, testimonianza di un passato laborioso ma superato dal progresso della tecnica. La collocazione dei protagonisti, disposti in ordine sparso nelle vicinanze del rudere, non è casuale, poiché sembra sintetizzare, - trasfigurandola nell'immagine in questione - la marginalità economica, sociale e culturale dei ragazzi che il film ha raccontato prima di questa scena.
Ripercorrendo la prima parte di film ci si accorge infatti che Maccioni non è stato tenero nei confronti dei protagonisti, raccontanti attraverso la tragedia personale di Pietro, il quale, oltre al suicidio del padre deve far fronte - insieme alla madre - ai debiti contratti con il fallimento della società di famiglia. Le cose non vanno meglio per Ivan, orfano di madre e in combutta con Guido (interpretato da Pippo Delbono), che lo ha convinto a partecipare ai suoi loschi affari. E cosa dire di Cosmic,, condizionato da un handicap mentale che però non gli impedisce di essere allo stesso tempo la coscienza morale del gruppo e il folle visionario capace di collegare la fine del mondo al passaggio sulla terra di un gruppo di Asteroidi.
Detto che il prosieguo della vicenda non regalerà agli amici una vita migliore, con il furto organizzato da Guido in collaborazione con Pietro e Ivan destinato a concludersi nel peggiore dei modi, ciò che preme evidenziare sono le contraddizioni di un film in cui l'apatia esistenziale dei protagonisti, la loro mancata adesione al complesso di valori proposto dalla componenti più istituzionale della società (la famiglia ma anche la scuola che Pietro marina spesso e volentieri e in cui Ivan ha smesso da tempo di andare), così come la mancanza di valori evidenziata dalle loro scelte quotidiane si traducono in un dispositivo cinematografico che, al contrario, è ricco di erudizione, di conoscenza e di profonda consapevolezza. Dei riferimenti alla settimana arte abbiamo già accennato (anche se ci sarebbe da aggiungere quello d'apertura dove la connotazione western del paesaggio padano viene anticipata dalla citazione di "
Sentieri Selvaggi" ), ma, sparse qua e là, fanno capolino nel corso della proiezione reminiscenze kantiane ("Il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me", sentenzia Cosmic in uno dei suoi vaticini) e simbolismi, come quello del mancato funzionamento della lampada con l'effige del partito comunista, utilizzata per collegare la crisi delle coscienze con la scomparsa delle vecchie ideologie. Per non dire del ricorso alle teorie astronomiche che forniscono lo spunto per equiparare il movimento fuori orbita degli asteroidi alla quotidianità randagia e fuori dagli schemi dei protagonisti. Uno sforzo lodevole, quello di Maccioni, il quale, però, avrebbe bisogno di una messinscena più spontanea, meno preoccupata di confermare la griglia delle sue premesse culturali e più attenta a trovare uno stile di recitazione diverso da quello urlato e poco naturale che contraddistingue le interpretazioni degli attori (non) professionisti Riccardo Frascari (Pietro) e Nicolas Balotti (Ivan). Peculiarità, queste, che fanno il paio con la sensazione di una struttura narrativa che procede a strappi e in maniera forzata.