È una tendenza ormai ricorrente quella del cinema francese contemporaneo di mettere al centro il mondo del lavoro: solo negli ultimi mesi sono usciti diversi titoli sul tema nelle sale italiane. "Un altro mondo" (Stéphan Brizè), ultimo capitolo della trilogia con protagonista Vincent Lindon; "Full Time - Al centro per cento" (Eric Gravel) che adotta una efficace dimensione da thriller per raccontare l’odissea di una madre lavoratrice; "Tra due mondi" (Emmanuel Carrère) in cui una nota scrittrice si cala nel mondo del precariato per scrivere un romanzo a riguardo. Ad unire queste opere, uno sguardo acuto e senza compromessi, l'istanza di portare all'attenzione del pubblico quest’argomento, da cui però la dimensione umana non viene (solitamente) prevaricata.
"Generazione Low Cost", film d'esordio di Julie Lecoustre e Emmanuel Marre, presentato alla Semaine de la Critique del Festival di Cannes 2021, si colloca pienamente in questo sotto filone, assumendo una prospettiva in parte inedita ma con un risultato complessivo non del tutto soddisfacente. La giovane Cassandre (Adèle Exarchopoulos) lavora come assistente di volo per una compagnia aerea low cost e vive alla giornata, schiacciata in una routine e una mansione disumanizzante. Questa infatti è svolta in team ma valutata individualmente, causando rivalità tra le colleghe. Richiede di attenersi alle procedure senza cambiare una virgola, di lasciare da parte tutte le proprie emozioni e il proprio vissuto per diventare degli automi al servizio dei passeggeri, nell'eterna ripetizione di frasi come "Qualcosa da bere? Qualcosa da mangiare?". Ne viene messo in rilievo in particolare l'aspetto performativo: alle dipendenti viene imposto di imparare a sorridere in qualunque situazione e a parlare con una corretta dizione; le assunzioni avvengono come delle audizioni, che comprendono simulazioni di incidenti ed evacuazioni dal velivolo.
"Generazione Low Cost" inserisce questa cornice in un affresco generazionale, e in questo sta il suo principale motivo d'interesse. La protagonista è una ragazza che non ha speranze né illusioni per un futuro migliore, che accetta la sua condizione senza battere ciglio. In una scena chiave dice ad alcuni colleghi di non credere al cambiamento e per questo di non voler aderire alle proteste sindacali. "Rien a foutre", "Me ne frega un cazzo", riassume con forza il titolo originale. La sua vita si divide tra lavoro/sesso occasionale/droga e alcool e dunque anche il tempo libero diventa una meccanica routine, la ricerca di un'evasione che però non fa altro che accentuare la sua solitudine, il suo carattere catatonico e alienato. Qualsiasi legame duraturo, con colleghe e partner, è impossibile: "Carpe diem" è il suo nickname su Instagram. Ed è proprio il solipsistico orizzonte della schermata del cellulare ad essere quello di riferimento per Cassandra, tra foto in alta quota da condividere sui propri canali social e altre in intimità da mandare all'amante di turno. "Aspetta che controllo su Instagram" risponde a chi le chiede da quando ha iniziato a lavorare per la compagnia.
Nel ritratto della protagonista, la scelta come sua interprete di Adèle Exarchopoulos si rivela funzionale. Sono passati 9 anni dal suo film più celebre, "La vita di Adele", eppure sembra la stessa ragazzina di allora. Il suo sorriso contagioso, il suo stare sempre a metà tra l'euforia e il disorientamento rendono perfettamente l'impasse di Cassadre. Una mente e un corpo ancora "piccoli" catapultati in un mondo da adulti, che vorrebbero rimanere in questo limbo. Cassandre rifiuta inizialmente la proposta del suo capo, che vorrebbe farla passare dalla categoria "junior" a quella dei "numeri uno" come prevede il regolamento alla scadenza del contratto. E così lei passa le serate libere in discoteca ma poi si commuove se suo padre le canta una filastrocca infantile.
Nel mettere in scena questa dimensione, lo stile scelto dalla coppia di regista è freddo e asciutto, alterna primi piani della protagonista a lunghe carrellate e ripropone sovente medesimi passaggi (le riprese delle nuvole, le serate in discoteca). Un rispecchiamento preciso della condizione della protagonista, con un occhio in particolare a Brizè, con cui però narrativamente si rivela uno scarto importante. Ne "La legge del mercato", ad esempio, il protagonista, un cinquantenne francese trovatosi disoccupato, riesce finalmente a trovare un impiego come addetto alla sicurezza in un supermercato. Lì si troverà però davanti a un importante conflitto morale quando sarà costretto a denunciare chi non si può permettere di pagare, o, addirittura, i suoi stessi colleghi. In "Generazione Low Cost", invece, non sembra esserci nessun conflitto interiore nella protagonista, nessun "altro mondo" possibile, in una condizione ormai (inconsapevolmente) nichilista e assuefatta, perfettamente integrata nelle spietate logiche professionali. Il film dunque esplicita un cortocircuito tra la crudeltà del lavoro e l'orizzonte dei giovani come una spirale che, più che essere unidirezionale (il lavoro è la causa del loro malessere), sembra essere auto fagocitante (il primo come naturale sbocco del secondo).
"Generazione Low Cost" imposta dunque il suo assunto di base fin dalla prima scena per mantenerlo fino all'ultima con una chiara dichiarazione d'intenti, che rappresenta contemporaneamente il suo traino e il suo limite di fondo. I registi seguono la protagonista, le stanno sempre accanto anche nei momenti più privati, rimanendo però sempre sulla soglia della sua interiorità, con l'intenzione di illustrare uno scorcio della contemporaneità e una figura simbolo di quest'ultimo, piuttosto che provare a sondarlo. La condanna del mondo del lavoro è chiara, per quanto riguarda la protagonista invece la posizione è più sfumata. Ma se evitare qualunque facile psicologismo o via d'uscita può essere un punto di forza, diventa qui un problema quando l'intento d'inchiesta prevale sulla dimensione esistenzialista: l'interesse sembra risiedere più nella tesi che nei personaggi e la confezione finale assume così le tinte di un distaccato reportage giornalistico. Se dunque non sono in discussione l'impatto e la precisione del film, la mancanza di empatia verso la protagonista riduce il coinvolgimento dello spettatore. E nel ripetere meccanismi e tesi, a risentirne è l'efficacia complessiva. "Generazione Low Cost" è un lavoro discreto, sicuramente interessante, che però perde il confronto con altre opere e altri autori appartenenti a questo cinema civile.
cast:
Adèle Exarchopoulos, Jonathon Sawdon, Jean-Benoît Ugeux
regia:
Julie Lecoustre, Emmanuel Marre
titolo originale:
Rien à Foutre
distribuzione:
I Wonder Pictures
durata:
110'
produzione:
Wrong Men
sceneggiatura:
Emmanuel Marre, Julie Lecoustre, Mariette Desert
fotografia:
Olivier Boonjing
scenografie:
Anna Falguères
montaggio:
Nicolas Rumpl
costumi:
Prunelle Rulens
musiche:
Antoine Bailly