Film rischioso per almeno due motivi. Primo: "Gambit", film del 1966 di Ronald Neame, vanta un intreccio congegnato in modo puntuale, una regia asciutta, un'ironia elegante, profumi esotici tanto cari a un certo cinema dell'epoca, e due attori in forma smagliante: un giovane e affascinante Michael Caine e una splendida e adorabile Shirley MacLaine; misurarsi con tutto questo non era esattamente semplice. Secondo: quando un progetto accumula polvere per 16 anni sopra diverse scrivanie non promette nulla di buono. La riscrittura del film infatti è passata attraverso diverse mani, fino a quelle dei fratelli Coen. E, una volta fatti nomi più o meno illustri per la regia, l'arduo compito è stato accettato dal poliedrico Michael Hoffman. Infine, se Colin Firth è un più che degno successore di Michael Caine, paragonare Cameron Diaz a Shirley MacLaine è come accostare un hamburger da McDonald a una cena di pesce in un ristorante tre stelle Michelin.
Dopo "La migliore offerta" il cinema recente continua a flirtare con le truffe nel mondo dell'arte, in questo caso con segno dichiaratamente opposto. "Gambit" (il gambetto, un'apertura degli scacchi) è il racconto di un raggiro operato dall'esperto d'arte inglese Harry Deane con l'aiuto della cowgirl texana PJ Puznowski ai danni del magnate dell'editoria Shahbandar.
La sceneggiatura dei fratelli Coen recupera l'espediente del film originale di mostrarci prima il piano perfetto ipotizzato da Harry con una silenziosa, elegante e obbediente complice, e poi gli sviluppi imprevisti della realtà. Esaspera alcuni tratti del protagonista, rendendolo più imbranato e ritagliando momenti di comicità corporale per Colin Firth, che, tra sedie che si rompono o non si spostano e pantaloni che si strappano, seppure bravissimo e versatile, non rende mai al meglio. Posto che giustamente, come ha dichiarato, volesse prendersi una pausa da produzioni più impegnative, questa parentesi non lo premia completamente. Il personaggio della Diaz aggiunge invece i contrasti tra l'americana rustica e ruspante e l'inglese abbottonato, e rimane più scafata di quel che Dean si aspetta; mentre nel film del '66 era l'esca perfetta per la sua somiglianza con la compianta moglie di Shahbandar, qui viene messa in gioco per motivi più deboli. Shahbandar, infine, da facoltoso raffinato ed elegante, diventa eccentrico e arrogante. In una trama dove gli sviluppi si fanno presto prevedibili, la componente sentimentale della storia viene fortemente ridimensionata e il tentativo sembra quello di mantenersi in bilico tra la variazione e l'omaggio all'originale. Quello che ne esce è un risultato in parte piacevole, ma allo stesso tempo annacquato e insapore, dove i personaggi rimangono solo in superficie. Viste le forze in campo era lecito attendersi di più.
Non mancano le strizzate d'occhio alla commedia classica, come nella sequenza di Dean in albergo e i relativi equivoci. E si tratta di uno dei momenti più divertenti e da ricordare in un film che altrimenti si sforza di far ridere senza mai brillare troppo. Si sorride, con un certo gusto, e basta. Hoffman ci mette tutto il suo mestiere per dare il giusto ritmo, si serve di un montaggio che ricorda Soderbergh nella prima parte, e rende scorrevole un film che a conti fatti non lascia il segno e paga il confronto con l'originale e la produzione travagliata. Non bastano l'impegno di Firth e la firma sulla sceneggiatura di due geni del cinema contemporaneo, a loro agio con i remake e con il tema del raggiro, ma un po' meno con questo tipo di commedia che, rispetto all'originale, vuole essere più di pancia e immediata - pur mantenendosi sobria. Nel cast anche uno Stanley Tucci che non sembra stanco di ruoli macchiettistici che non gli rendono giustizia.
cast:
Colin Firth, Cameron Diaz, Alan Rickman, Stanley Tucci, Tom Courtenay, Cloris Leachman
regia:
Michael Hoffman
titolo originale:
Gambit
distribuzione:
Medusa
durata:
89'
produzione:
Crime Scene Pictures, Michael Lobell Productions
sceneggiatura:
Joel & Ethan Coen
fotografia:
Florian Ballhaus
scenografie:
Stuart Craig
montaggio:
Paul Tothill
costumi:
Jenny Beavan
musiche:
Rolfe Kent