"Lei sostiene che il presidente può fare qualcosa di illegale?"
"Sto dicendo che se è il presidente a farlo vuol dire che non è illegale".Continua l'ossessione dei cineasti americani per i presidenti e per la propria storia. Ma se il
biopic di Stone ha almeno il pregio di raccontare cose di cui chi guarda può ricordarsi, questo "Frost/Nixon" spinge lo spettatore a cercare nella memoria fatti archiviati con la Guerra fredda.
La storia è quella della famosa intervista che Nixon concesse al conduttore televisivo David Frost, tre anni dopo lo scandalo Watergate che gli costò la presidenza.
Sottovalutando non tanto l'abilità, di cui Frost era comunque in parte sprovvisto, quanto la tenacia del suo interlocutore, Nixon si trovò ancora una volta di fronte alla scelta se continuare a mentire agli americani, o ammettere finalmente le sue colpe. Nonostante i patti prevedessero che l'intervista avrebbe toccato quegli argomenti solo nell'ultimo passaggio, equivalente a circa un quarto del tempo previsto, Frost cominciò da subito a mettere Nixon di fronte alle contraddizioni della sua linea di difesa, e alla fine lo costrinse ad ammettere l'illegalità del suo operato.
I fatti narrati si svolgono tutti durante la settimana di preparazione e l'intervista vera e propria, cui assistettero per Nixon il Capo di Stato Maggiore Jack Brennan e l'agente Irving Lazar e, come consiglieri di Frost, il reporter Bob Zelnich e lo scrittore James Reston.
Ron Howard porta sullo schermo quella che comunque rimane una
pièce teatrale, il cui impianto statico soffoca in parte la rappresentazione. L'immobilità della storia, come anche quella dei personaggi che restano graniticamente attaccati all'impressione iniziale, rende poco fluido il racconto. E se Langella regala allo spettatore una grande prova, è pur vero che è già stato premiato per la stessa parte recitata a lungo in teatro. Michael Sheen, già Tony Blair in "The Queen", rimane nelle corde di una interpretazione teatrale, accurata certo, ma poco ispirata. Mentre Kevin Bacon, comunque bravo anche se ancora sottovalutato, recita un buon consigliere del presidente, vera anima sporca di chi ne ha viste di tutti i colori e comunque resta al suo posto.
Il tutto rimane all'interno dei binari di un lavoro ben fatto, ma assolutamente privo di genio o, volendo, anche di interesse per il comune cittadino non americano.
Resta comunque da chiedersi il motivo di una trasposizione su grande schermo di un lavoro che, a parte gli ovvi accostamenti tra le bugie presidenziali di allora e quelle di oggi, non aggiunge niente di più alla conoscenza della storia da parte di un pubblico che, al momento forse, comincia a sentirsi subissato dai presidenti americani presenti, passati e futuri.
25/01/2009