"Freakonomics" è innanzitutto un caso letterario firmato a quattro mani dall'economista Steven D. Levitt e dal giornalista Stephen J. Dubner, una collezione di saggi non specialistici dove il pensiero economico si asservisce ad un'indagine a largo spettro di alcuni fenomeni delle società contemporanee. Ponendo domande banali, ma non scontate, i due raggiungono soluzioni inaspettate a problemi quotidiani indagando l'incidenza del nome di battesimo di un individuo sulla sua realizzazione socio-economica, andando a investigare il mondo del Sumo giapponese e alle ragioni per cui la corruzione che vi si cela dietro rimane spesso taciuta, fino al più interessante e riuscito saggio che indaga il rapporto tra aborto e criminalità. Il libro divenne bestseller e istant cult.
Come ogni potpourri che si rispetti anche il collage di documentari intitolato "Freakonomics - Le divertenti verità sulla crisi", che esce ora in Italia con tre anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti, è un profumato bouquet di fiori secchi: diretto a più mani dai documentaristi Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki e Morgan Spurlock ripropone gli aromi del testo di Levitt e Dubner aggiungendo le fragranze tipiche degli stili dei registi, ma non riuscendo nel complesso ad animare la pellicola con una propria vita. Il film è articolato in episodi scollegati tra loro in stile e contenuto da registi che sembrano lavorare separatamente senza una comune e forte idea di fondo se non l'intervista frammentaria agli autori del libro. La carenza di un tessuto connettivo appesantisce la visione che si trova dispersa nei singoli segmenti a partire da quello firmato da Morgan Spurlock ("Super Size me"), il peggior lavoro del documentarista americano, che già lascia intuire l'abbondanza di freak(ness) e la carenza di 'nomics che durerà per l'intera pellicola.
Come un insieme di assaggi non fanno una cena dei brevi elzeviri di celluloide non fanno un documentario: passando di segmento in segmento, seguendo l'economia fuzzy di Levitt (e Dubner) arriviamo alla sconvolgente rivelazione che le statistiche non dicono tutto, che c'è qualcosa di ineffabile ascrivibile al fattore umano spesso imprevedibile. Così andando contro al senso comune con ragionamenti controintuitivi si aprono rivelazioni di ordinario sconvolgimento. La sensazione che accompagna la visione del film è che i tanti talenti dei registi (che in passato hanno raccolto in totale 5 nomination agli Oscar) non si sommino tra loro come il complesso di un opera non si riduca ad essere la mera somma delle sue parti. A fine visione ci rendiamo conto che di verità ce ne è una ed è triste: la distribuzione italiana sta provando, ancora una volta, a farsi beffe degli spettatori con il ruffiano titolo di lancio della pellicola che suona "Le divertenti verità sulla crisi": posto che di divertente ci sia ben poco, dobbiamo chiederci a quale crisi si riferisca il sottotitolo (il libro di Levitt e Dubner è stato pubblicato nel 2005). Attendiamo delucidazioni.
In ultima analisi non possiamo dire che sia un lavoro riuscito questo "Freakonomics", slegato nelle sue parti, riesce solo a restituire la catchiness che contraddistingue il lavoro di Levitt e Dubner con divertenti soluzioni visive, ma perdendo un'unità narrativa forte non si mette mai seriamente in discussione il lavoro dei due scrittori che vengono evangelicamente assunti come dispensatori di assolute verità del contro-senso-comune. A tratti divertente, a tratti anche interessante, nel complesso un documentario che non documenta.
cast:
James Ransone, Melvin Van Peebles, Greg Crowe, Alisha Nagarsheth, Sammuel Soifer
regia:
Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki, Morgan Spurlock
titolo originale:
Freakonomics
durata:
93'
produzione:
Chad Troutwine
sceneggiatura:
Heidi Ewing, Alex Gibney, Seth Gordon, Rachel Grady, Eugene Jarecki, Morgan Spurlock
fotografia:
Junji Aoki, Derek Hallquist, Tony Hardmon, Darren Lew, Daniel Marracino, Rob VanAlkemade