Sarà stata la lontananza dallo schermo o forse il bisogno di recuperare un'ispirazione sacrificata sull’altare del prestigioso riconoscimento, sta di fatto che Halle Berry non ha badato a spese per organizzare la sua rentrée: abituata ad esaltare il proprio corpo con scelte sempre attente a soddisfare le pruderie di un cinema mai a disagio nei confronti di un'esposizione sottomessa ai voleri del Dio denaro, e nella consapevolezza di doversi confrontare con una reputazione santificata dall’inattesa vittoria hollywoodiana, l’attrice gazzella diventa imprenditrice di se stessa e sottomette l’intera produzione alla riuscita del personaggio da lei interpretato. Tutti al suo servizio dunque, a cominciare da un alter ego dall’effetto assicurato se è vero che i personaggi borderline come quello di Frankie Murdoch, una ragazza affetta da disturbi bipolari, sembrano sintonizzati sull’emotività delle platee così come su quella dei giurati, e proseguendo con un compagno di merende, Stellan Skarsgård nella parte dello psichiatra, tanto professionale quanto parsimonioso nell’evitare la ribalta di una vicenda in cui la dialettica medico/paziente deve essere necessariamente a favore del secondo e per finire da un regista carneade, tale Geoffrey Sax, capace di tralasciare qualsiasi iniziativa per modellarsi sui desideri fotogenici della sua divina.
Il risultato è una serie interminabile di scene madri in cui il susseguirsi degli sdoppiamenti schizofrenici (Frankie che diventa Alice) si alterna allo struggimento per un destino apparentemente già deciso. Ambientato nell’America degli anni 70 più per giustificare il razzismo a monte della tragedia che per motivi filologici (la vicenda parrebbe ispirata ad una storia vera), il film latita anche nella ricostruzione del panorama storico, affidato esclusivamente alla presenza di brani musicali inconfondibili, ai pantaloni a zampa di elefante ed alla vaporosa capigliatura della protagonista. Eccessivamente castigata anche quando non sarebbe richiesto, vedasi il prologo in cui Frankie ancora ignara di quello che l’attende si esibisce come stripper in un locale per soli uomini con la telecamera che mantiene lontana dall’oggetto del proprio desiderio, la Berry satura la scena con una performance così paradigmatica da annullare qualsiasi effetto sorpresa e toglie al personaggio con delle scelte quanto meno discutibili -la schizofrenia è resa in maniera così bonaria da uniformare le opposte tendenze- quel minimo di empatia capace di tenere desto l’interesse.
Uscito in America alla fine di dicembre per alimentare le speranze di un eventuale candidatura della sua star, "Frankie & Alice" non ha fatto fatica a rientrare nei ranghi di un anonimato ampiamente giustificato.
07/02/2011