Dopo la gavetta e un ruolo da assistente alla regia per Costa Gavras ("Amen", 2002), Adrian Sitaru ha iniziato a girare film per la tv e cortometraggi. Proprio nel 2007, nell'anno in cui la vittoria della Palma d'oro a Cannes di "
4 mesi, 3 settimane e 2 giorni" dava lustro alla nuova cinematografia rumena, Sitaru veniva premiato a Locarno con il Pardino d'oro per il corto "Wave". Classe 1971, Sitaru è (più o meno) coetaneo dei più noti Cristi Puiu, Cristian Mungiu e Corneliu Porumboiu, coi quali condivide uno sguardo verticale sulla società rumena contemporanea, che da loro viene analizzata e vivisezionata tramite il linguaggio cinematografico. Ancora sconosciuto in Italia, il 35esimo Bergamo Film Meeting gli ha dedicato una retrospettiva e l'indipendente Lab80 ha distribuito i due lungometraggi del 2016, "Fixeur" e "Illegittimo".
Protagonista di "Fixeur" è Radu, un reporter che sta svolgendo il periodo di prova nello stesso giornale in cui lavora anche la sua compagna. La redazione è in subbuglio per una notizia appena giunta: due ragazze sono state rimpatriate da Parigi per prostituzione minorile. Mentre a lui e al suo capo viene impedito di intervistare le giovani dalla polizia di confine, Carmen, la donna di Radu, riesce a portare a termine il servizio andando a casa di una di queste. Desideroso di realizzare un pezzo simile, l'uomo chiama un amico francese, anche lui giornalista, proponendogli lo scoop, non prima di aver trovato uno stratagemma per entrare in contatto con la ragazza, che è stata affidata alle suore. Fixeur, d'altra parte, significa appunto mediatore ed è questo il ruolo che assume Radu all'interno dell'opera.
La prima scena del film è ambientata in piscina: un dolly inizia a muoversi lungo la vasca, apparentemente seguendo gli allenamenti di un gruppo di bambini; dopo poco, però, procede in avanti avvicinandosi alla vetrata che separa gli astanti; tra questi c'è un uomo, Radu, che dà consigli e cronometra i tempi. Con questo movimento di macchina che riconduce allo sguardo dell'uomo, concedendogli un ruolo centrale, Sitaru inizia la sua riflessione sull'atto di guardare, sulla sua etica e sui suoi limiti.
Durante il primo tempo, il regista si concentra essenzialmente sul viaggio che intraprende la troupe per riuscire a intervistare Anca, passando prima dalla povera casa natale fino al convento in cui la madre superiora vieta loro di vederla per le negative ricadute psicologiche. In quello che è un "making of" di un reportage su un argomento scottante e attuale - la tratta delle bianche dai paesi del nord-est europeo - Sitaru cerca di non soffermarsi direttamente sulle soluzioni più trite, come la descrizione deterministica dell'ambiente di origine, l'estremo degrado delle regioni più povere della Romania, ma le inscena per mezzo dei giornalisti preoccupati di catturare uno spaccato di vita reale e crudo, che scuota l'opinione pubblica. I giornalisti non sono negativi di per sé, in quanto stanno solo compiendo il loro dovere: in tal senso, il diritto all'informazione è una buona causa e, invero, Sitaru punta il dito sul metodo, su quali limiti si possano varcare per far valere tale diritto.
In questi passaggi si nota come le situazioni siano schematiche e la caratterizzazione dei personaggi non particolarmente sfumate: i francesi sono cinici, i paesani sanguigni e genuini e Radu sempre in mezzo, a mediare. Per il regista è cruciale l'esposizione della tesi e la trasmissione del messaggio politico, in virtù dei quali poco si preoccupa di raffinare la scrittura. Fin dall'inizio il protagonista viene presentato come un individuo per i quali i mezzi sono giustificati dall'obiettivo che si vuole raggiungere: a questo serve anche la sottotrama riguardante il suo rapporto col figlio di Carmen e il suo essere severo negli allenamenti di nuoto; la manipolazione del bambino, che, difatti, si ribella agli ordini dell'adulto, è la corrispondenza privata e intima del suo atteggiamento sul lavoro.
La questione dirimente, sebbene non particolarmente originale, resta rilevante, poiché Sitaru s'interroga sinceramente su quali siano i confini insiti nell'atto di filmare o se, questi confini, possano esistere. Quando Radu rimane solo con Anca, dentro l'abitacolo della vettura, per convincerla ad accettare l'intervista, si rende conto delle ferite psichiche della ragazza. Il regista decide di stare incollato ai volti, lasciando di volta in volta fuori fuoco uno dei due interlocutori: quando l'uomo chiede finalmente se è decisa a girare l'intervista, Sitaru mette a fuoco il volto di Anca che, improvvisamente, gli chiede se vuole fare sesso orale. Il tentativo di persuasione adottato da Radu ha innescato nella ragazza l'ormai interiorizzato meccanismo di contrattazione sessuale: senza volerlo, il giovane reporter è sceso allo stesso livello degli aguzzini di Anca. Sitaru adopera le lunghe riprese per studiare gli ambienti, i primi piani per far emergere i pensieri dei personaggi ma è capace di utilizzare lo zoom, il fuori fuoco e il fuori campo per creare un contrappeso tra i punti di vista: si veda la carrellata circolare che evita di continuare a sfruttare il volto della ragazza minorenne che sta raccontando la sua storia, uscendo dall'interno della macchina, allontanandosi, dunque, dal punto di vista dei giornalisti.
"Fixeur" ha un livello pedagogico rispecchiato dal percorso di Radu, il cui orizzonte ha un vago sapore ottimista, poiché l'autorealizzazione del protagonista non coincide banalmente con uno smarrimento morale ma, al contrario, con un piccolo miglioramento, una lezione di vita che è anche una lezione di etica dello sguardo. Sebbene l'opera possa quindi dirsi riuscita, la tesi, dimostrata in modo mai sottile, zavorra la portata teorica della riflessione che non si solleva dalle contingenze del racconto.
28/03/2018