Liberatosi dall’urgenza di una biografia magnificamente trasposta ne “Guida per riconoscere i tuoi Santi”, Dito Montiel, continua a frequentre le strade della grande mela con una storia che ancora una volta, attraverso il rapporto tra il pugile ed il suo mentore, ripropone, in termini sicuramente meno drammatici, ma ancora evidenti, un legame padre/figlio vissuto ai limiti, e continuamente minacciato da una serie di non detti che ne determinano la sua precarietà.
Motivi che il regista riprende anche nella proposta della figura femminile, ancora una volta di origine ispaniche e con un figlio a carico (dettagli perfettamente coincidenti con il personaggio interpretato da Rosario Dawson nel film d’esordio) ma soprattutto punto di equilibrio, per determinazione e volontà, di dinamiche maschili irrisolte per l’incapacità di confessare le proprie paure. Detto questo, e fatte le dovute distinzioni, “Fighting” è un film a se stante, che sacrifica molto delle sua matrice autoriale a vantaggio di un impianto che, a cominciare da una colonna sonora, alla moda e di sicuro appeal su piano del ritmo, e soprattutto nel suo nucleo centrale, innescato sui combattimenti del protagonista, cerca di enfatizzare le sue caratteristiche più spettacolari.
Proponendo un modello di gioventù bruciata, ripreso nelle pose del suo protagonista, chiaramente ispirate per la fisicità esibita e lo sguardo tormentato alle icone del cinema anni 50 (Dean e Brando su tutti), ma anche nel bullismo dei ragazzi di strada che ruotano attorno ad Harvey, Dito Montiel afferma ancor una volta le sue priorità, rivolte ad una dimensione estetica (l’agonismo senza paura) ed emotiva (la fragilità, sentimentale ed affettiva) prettamente giovanile. Ma questa volta le vicende raccontate non riescono a superare l’illustrazione; la formazione di Shawn, seppur sedimentata attraverso una dialettica che conosce le regole del gioco, ed esegue diligentemente le tappe di una crescita necessariamente dolorosa, sembra appartenere ad un corollario già scritto. Ed anche il combattimento, che dovrebbe essere l’apice del Golgota non riesce mai a diventare metafora della vita, e si riduce all’ennesimo confronto tra Davide (Shawn) e Golia (gli sfindanti). Pur riconoscendo all’attore emergente una fotogenità che piacerà ai giovanissimi, ed apprezzando il lavoro dei due coprotagonisti, il sempre misurato Terence Howard ed una caliente Zulay Henao, “Fighting” sembra un opera di transizione, magari utile ad affinare un mestiere ancora giovane ed a delineare le linee di azione dei prossimi lavori.
17/09/2009