Ondacinema

recensione di Lorenzo Taddei
5.0/10
Perché la pazienza ha un limite, Pazienza no. (Andrea Pazienza)

Senza più un presente né un futuro o un'idea per rimandarlo, Fiabeschi lascia Bologna e torna alle sue radici nella lontana Calabria. Malgrado la piazza vuota - perché tutti ormai si chiudono in casa a rifarsi una vita coi social networks - Cuculicchio il paese del radicchio sembra esser rimasto immune al tempo, conservando quella tipicità asfittica da cui anche Enrico, vent'anni prima, era fuggito.
Così quello che studia al nord è tornato, Enrico diventa suo malgrado l'esotico oggetto delle attenzioni paesane, a parte la zia suonata (Lunetta Savino) che si ostina a non riconoscerlo. Il padre (Ninetto Davoli) lo raccomanda al sindaco per un lavoro, la figlia del sindaco cerca di sedurlo, gli amici gli propongono l'affare della vita. Ma Enrico è refrattario al lavoro, disinteressato al sesso e appassionato soltanto di canne. La sua crisi esistenziale trova una svolta nell'amore vero e "silenzioso" e nella scoperta concettuale che "la casa è dento di noi" senza bisogno di cercarla fuori. E sarà grazie a una canna provvidenziale se alla fine il nostro avrà l'occasione di salvarsi e la fortuna di poter cominciare una nuova vita.

Rispetto a "Paz!" del 2002 di Renato De Maria, in cui le vicende dei tre personaggi di Pazienza (Zanardi, Penthotal e Fiabeschi) si intrecciano senza incontrarsi mai, nel film di Mazzotta la trama è molto più lineare, troppo lineare, forse proprio inesistente. Ci si affeziona fin da subito al brutto faccione di Fiabeschi, al suo look fuori tempo, ai suoi ammiccamenti in camera. Il suo tratto fumettistico e caricaturale è pane per i denti di Mazzotta (così come lo era stato "Ossadipesce" ne "L'ultimo capodanno" di Marco Risi) ma altrettanto non può si può dire per la sceneggiatura, fiacca e in più parti monca, come se il film anziché rappresentare l'inerzia di Fiabeschi, ne fosse contagiato, tirando via o lasciando morire spunti di per sé anche interessanti. Una serie di gag messe in fila con poca cura, di cui si salvano battute isolate e qualche virtuoso movimento di macchina che resta comunque fine a se stesso. Una buona idea per esempio, all'inizio del film, è la soggettiva di Fiabeschi sul Canale delle Moline (nel centro di Bologna) che resta fissa sul canale mentre Fiabeschi si allontana, trasformando così la ripresa seguente in un'oggettiva che bruscamente si risveglia e insegue il protagonista. Poteva essere un punto di vista originale per raccontare in maniera differita, l'azione rispetto alla presa di coscienza di Fiabeschi, ma anche questa idea viene abbandonata.
Il film si proclama più volte surreale e con alcune citazioni (un Jesus nostrano alle prese con le bocce anziché col bowling o l'incubo in triciclo pei corridoi di casa, in omaggio all'idea con cui Kubrick impreziosì lo "Shining" di King) tenta di dare sostanza a questa surrealtà, fallendo miseramente. La  migliore battuta forse - in un omaggio a Pazienza - è il rimprovero di Enrico al fratellino adottato che dinanzi a una bancarella di libri sfoglia una copia di "Zanardi".

Ci vuole pazienza, altroché, a tener duro fino alla fine. "Sappi portare la tua croce" è il monito che con franchezza apre e chiude il film.
Mi chiedo cosa ne avrebbe pensato Pazienza. Cosa avrebbe detto, o non detto. Quando un uomo come Andrea Pazienza se ne va, vien da chiedersi cosa avrebbe potuto essere ancora, con altro tempo a disposizione. E' un pensiero che diventa un vuoto, un buco profondo che si può girarci lungo i bordi, guardarci dentro, ma non si può riempire.
25/08/2013

Cast e credits

cast:
Max Mazzotta, Lunetta Savino, Ninetto Davoli, Rita Montes, Paolo Calabresi, Deniz Ozdogan, Ronny Morena Pellerani, Giampaolo Morelli


regia:
Max Mazzotta


distribuzione:
Whale Pictures


durata:
90'


produzione:
11 Marzo Film, Rai Cinema


sceneggiatura:
Max Mazzotta, Giulia Louise Steigerwalt


fotografia:
Gianfilippo Corticelli


scenografie:
Gianluca Salamone


montaggio:
Gino Bartolini


costumi:
Mary Montalto


musiche:
Max Mazzotta


Trama
Enrico Fiabeschi ha quarant’anni, studente non studente fuori sede, fuori corso, al verde e mollato dalla compagna. Senza più un futuro e ai ferri corti anche col presente, Enrico lascia Bologna e torna in Calabria, nella sua Cuculicchio, per ripartire dalle origini e ritrovare se stesso.