Ondacinema

recensione di Simone Rossi
5.5/10

“Nel momento in cui faccio il mio lavoro, nel momento in cui faccio il cineasta, vengo abitato. Un oscuro abitatore che non conosco prende le redini della baracca, dirige tutto quanto al posto mio. Io metto a disposizione soltanto la mia voce, il mio senso artigianale, i miei tentativi di seduzione o di plagio o di autorità, ma è un altro con cui convivo e che conosco soltanto per sentito dire, a comandare”.

E basterebbero queste parole dette a Daniel Pettigrew e contenute nel suo documentario del 2002 per dare un significato al lavoro di Anselma Dell'Olio. "Fellini degli spiriti" è, o tenta d'essere, proprio un ritratto spirituale e spiritista del maestro riminese, un percorso a ostacoli attraverso una carriera in cui la visione altra assume la stessa grana dello sguardo consueto fino a una fusione talmente inscindibile da far pensare a una abilità soprannaturale. E nelle voci dei tanti che lo hanno conosciuto, che con lui hanno lavorato o che ne hanno semplicemente ammirato gli incantesimi sul grande schermo (e che Anselma interroga frontalmente lungo l'intero arco del film), riconosciamo una sorta di coscienza collettiva junghiana che è il sostrato sul quale vorrebbe poggiare l'intero architrave del documentario. Del resto, come sottolinea Maurizio Porro interpellato, "8 e ½" non sarebbe mai esistito se Federico non avesse incontrato e frequentato assiduamente lo psicanalista Ernst Bernhard, voce del filosofo svizzero nella capitale e punto di riferimento per molti personaggi di spicco della cultura italiana degli anni Cinquanta e Sessanta. Per Fellini è soprattutto la spinta a dare ordine alla propria creazione interiore: se oggi possiamo consultare l'enorme faldone del libro dei sogni (che acutamente il buon Vincenzo Mollica definisce 'il Codice Da Vinci del regista') lo dobbiamo proprio a questa mutua collaborazione.

Ma Fellini era un medium? Non ci sono dubbi, dichiara la cartomante di Via dei Cessati Spiriti, periferia romana che riveste un ruolo chiave all'interno de "La dolce vita", nella scena probabilmente più spietatamente puntuale nel tratteggiare le differenza di classe che l'intera creazione felliniana abbia mai prodotto. A quell'indirizzo, infatti, vive la prostituta che Marcello e Maddalena raccolgono in Piazza del Popolo e che il gruppetto raggiunge dopo un giro in auto. La casa è in un seminterrato invaso dall'acqua; per muoversi bisogna camminare su delle travi di legno: la prostituta invita gli ospiti che senza domandare prendono possesso della camera da letto e lì consumano la loro notte d'amore dopo aver chiuso a chiave la porta e aver lasciato la donna in cucina, seduta a sorseggiare il caffè, precariamente in equilibrio su uno sgabello. Da lì, si racconta, Fellini raggiungeva (nel mondo reale) la via Latina per inoltrarsi nel Parco della Caffarella dove, tra vegetazione rigogliosa e tombe romane, “sentiva le voci”, veniva quotidianamente “abitato”.

Il percorso creato dalla Dell'Olio, con l'I Ching a intestare i capitoli e spezzoni significativi dei film del maestro a creare l'ambiente, parte dal tema centrale del viaggio per raccontare una vena creativa capace di cibarsi contemporaneamente di religione e stregoneria, di sogni e allucinazioni. La seduta spiritica era un'abitudine di Giulietta e Federico; l'incontro (l'altro, decisivo, dopo la scomparsa di Bernhard) con Gustavo Rol, la dimostrazione incarnata che la mente poteva ben oltre i suoi limiti conosciuti. Ed ecco che "Amarcord" potrebbe non significare semplicemente 'io mi ricordo', ma ben più catarticamente, io mi disloco. Tuttavia in questo crescendo rossiniano di voci e testimonianze intente a scandagliare l'abisso spirituale del nostro si perde di vista l'elemento inautentico del mondo felliniano, quello creato ad arte: la dimensione della menzogna quale realtà più vera del vero.

E' allora inevitabile interrogarsi su "Giulietta degli spiriti", pellicola attorno alla quale orbita il Fellini fluttuante che vediamo sulla locandina del film. Da un lato possiamo additarlo quale conclamata testimonianza di un percorso personale inequivocabile e sovrapponibile al tenore del documentario; allo stesso tempo però ci appare come la chiara volontà di una presa di distanza, quasi come se Fellini ci tenesse (nel suo continuo proiettare se stesso nelle fattezze della moglie/musa, come un partecipe Damien Chazelle sottolinea con sorprendente padronanza della materia) a specificare di essere allo stesso tempo il creatore e lo spettatore della visione, quello stesso psicanalista che seduto sulla spiaggia suggerisce a Giulietta la visione più funerea e terrificante del suo cinema, quella del barcone con la stiva colma di zombie e cavalli in decomposizione.

Alla Dell'Olio pare sfuggire il dettaglio che Nantas Salvalaggio stigmatizzava sulle pagine di Panorama oltre cinquant'anni fa: “Non c'è niente di più strano e affascinante di Fellini sul set. Non dirige gli attori, li ipnotizza, li mette in trance”. Ed ecco che le voci raccolte rischiano di cambiare di segno: sono il punto di vista del narratore o quel che il soggetto desiderava volesse essere raccontato? La verità, come sempre, è probabilmente nel mezzo; in quel movimento circolare che racchiude il magma felliniano e che prendendo a prestito uno degli elementi chiave del suo immaginario – che è acciaio, lamiera, fumo e velocità: il treno – si muove su un binario chiuso e circolare che va da Rimini a Roma e da Roma a Rimini, in ogni istante del tempo, che strappa via Moraldo (con la voce di Federico) dagli amici di sempre ronfanti nelle loro camere da letto incorniciate dal finestrino del passeggero ("I vitelloni"); che approda alla stazione Termini a un soffio dalla Seconda Guerra Mondiale ("Roma"); che nel mezzo fa tappa in un borgo di provincia con lo sguardo in aria mentre un matto ("La strada") si esibisce camminando su un filo tra un palazzo e un altro o che si inchioda tra l'erba alta per permettere a Snaporaz di dar la caccia a una figura seducente in mezzo alla campagna ("La città delle donne").

"Fellini degli spiriti" è un apprezzabile tentativo di guardare all'immaterialità artistica, ma manca di trascendenza. Si apre sui funerali del maestro in uno studio 5 trasformato in altare dove una bara (la concretezza del mistero) campeggia solitaria contro uno sfondo di cartapesta. La perfetta descrizione di un cineasta che ha affrontato l'intera esistenza con la sfrontatezza di un fanciullo. Tentare di mettere ordine (un ordine metafisico) in questo sensazionale incontro è impresa destinata al fallimento. Ci si perde, si tralasciano titoli significativi (per citarne uno, l'assenza del "Toby Dammitt" con il suo combinato di soprannaturale e fantastico appare davvero inspiegabile), non si dà il giusto risalto ai due principali progetti abortiti (il "Mastorna" e "Viaggio a Tulun") le cui genesi interrotte, riconducibili a motivazioni ambigue e indecifrabili, appaiono come il vero lato oscuro e insondabile del regista. Resta quale inevitabile chiave di lettura, a ergersi sopra le tante voci presenti, proprio quella di Fellini che fa capolino qui e là, esibendosi spesso in un inglese odoroso di Romagna, che ironizza e ammicca per rispondere infine, sollecitato da un solerte giornalista sudamericano, che non serve a nulla categorizzare: conviene sempre vivere.

Si diceva il treno, infine. “Il più notevole avvenimento della vita di Federico Fellini si è svolto su una vettura ferroviaria di prima classe: egli infatti è nato mentre il treno correva tra Viserba e Riccione, precisamente anzi a Rimini”. Splendida leggenda, racconto del regista descritto nel ritaglio di un quotidiano del dopoguerra che il padre di Giulietta Masina teneva in un album. Il treno, sì. Da qui l'ossessione. Inevitabile. Peccato che il 20 gennaio 1920 lungo la riviera romagnola i treni sono tutti fermi: è in atto uno sciopero dei ferrovieri, lo riportano tutti i giornali dell'epoca. Il treno. Una magnifica menzogna. Un ricordo inventato. Un sogno.


07/09/2020

Cast e credits

regia:
Anselma Dell Olio


distribuzione:
Nexo Digital


durata:
90'


produzione:
Mad Entertainment, Rai Cinema


sceneggiatura:
Anselma Dell'Olio


fotografia:
Daniele Botteselle


montaggio:
Montaggio


musiche:
Antonio Fresa


Trama

Fellini e il non visibile. Il cinema del maestro riminese filtrato attraverso la sua propensione per il soprannaturale e il mistero e segnato dall'incontro con lo psicanalista Ernst Bernhard e il sensitivo Gustavo Rol.

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