Tre despoti. Stalin, Hitler e Mussolini. E insieme a loro Churchill (leader di una potenza imperialista). A distanza di 17 anni dall’Hirohito di “Il Sole” (2005), Sokurov torna sulla sua ossessione per gli uomini di potere e in particolare per gli autocrati. Stavolta, colloca i personaggi in un limbo post-mortem. Li fa vagare alle soglie di un inaccessibile oltretomba, fuori dal tempo e praticamente senza sviluppo narrativo. Nelle loro parole si ripete un tormentone dantesco: smarriti in una selva oscura, nel mezzo del cammino della vita... Un’entità suprema (come viene definita nei titoli di coda) nega loro l’accesso al Paradiso (anche se a un dato punto Churchill sembra valicarne il cancello), mentre i quattro vanno avanti a dialogare (frasi tratte da fonti documentali), in un profluvio di frammenti sconnessi, aborti di discorsi slegati fra loro. Sordi gli uni agli altri, confabulano fra sé e sé, insensatamente, senza costruire senso. Forse per questo vengono presto affiancati da alcuni cloni di loro stessi, cui prendono a rivolgersi chiamandoli “fratelli”. Sono talmente soli che riescono a dialogare solo con se stessi.
Le battute pronunciate (a volte con ironia, altre con orgoglio e presunzione) svelano l'inanità del potere, la vanità e il ribrezzo di questi figuri da incubo ma in fondo banalissimi. Valga per tutto la grottesca insistenza di Mussolini per l’eleganza. Nella davvero infima pochezza di pensiero dei frammenti senza costrutto si svela la mancanza di profondità del pensiero di personaggi tanto influenti.
Una didascalia iniziale avverte che non si è fatto ricorso a tecniche di deepfake. Volti ed espressioni facciali sono dunque reali, non c’è rielaborazione né mistificazione. Ognuno è allora per davvero smarrito nel proprio delirio: Sokurov si limita a far sì che l’orrore intrinseco di questi uomini di potere tanto perversi quanto banali prosegua anche dopo la vita. Aggiunge, per noi, altro orrore (a quello della Storia): constatiamo che nessuno di loro si renda conto di quanto sia orrida la propria banalità.
Un personaggio storico li ossessiona, ricorre nelle loro parole, e infine si intravede come presenza fantasmagorica. Napoleone, di cui tutti i tiranni moderni sono figli (non lo dice certo Sokurov). Anche se nella prospettiva di Stalin pure Lenin assume un’analoga valenza autorevole. La presenza di Churchill, che viene ritratto quasi sempre con un'espressione ebete, può apparire incongrua. Posta a stemperare la natura “tirannica” del consesso, al contempo insinua il dubbio che tutti i potenti, e non solo i tiranni, siano affetti da una comune malattia.
Questa nuova fantasia del grande cineasta russo suscita però alcune perplessità. Il film finisce per apparire – ci si perdoni la provocazione – una sorta di reunion di supereroi. Anche se solamente Hitler era stato già protagonista di un film di Sokurov (“Moloch”, 1999), “Fairytale” fa pensare a una reunion che segue e riprende a distanza di anni “Moloch”, “Taurus” (su Lenin, 2001) e “Il Sole”. E però, rispetto a quei film, “Fairytale” ci pare funzionare meno. Non tanto perché statico. Quanto perché, il fare incontrare dopo la morte questi personaggi storici, il lasciar loro l’esclusività del proscenio malgrado la loro piccineria, non toglie loro la statura di titani e ne vivifica l’importanza storica, come meri individui. Ciò tradisce, forse anche, il fascino che la figura archetipica del tiranno sembra esercitare su Sokurov. Nonostante la Storia appartenga alla gente comune, non appartiene a Sokurov l’intenzione di scartare rispetto a una prospettiva scolastico/accademica per cui la Storia è storia di personaggi famosi. Le masse assumono solo un ruolo di contorno. Si limitano a una presenza fantasmagorica, di massa (appunto). Un oceano informe che subisce il capriccio dei despoti. Senza contorni definiti, appena si distingue qualche anonimo soldato; per qualche istante, una donna. Nella visione di Sokurov il popolo è, letteralmente, sfuocato.
Alcune perplessità anche sotto il profilo figurativo. Si sostiene che non c’è deepfake, ma il risultato appare proprio un deepfake… La didascalia iniziale sa quasi di excusatio non petita. Queste immagini, seppure autentiche, non generano un’illusione di verosimiglianza (come accadeva con la precedente trilogia sui potenti). Gli stessi scenari ispirati a Doré, Piranesi e Michelangelo, malgrado l'innegabile fascino, a tratti appaiono posticci, non sempre carichi come vorremmo delle suggestioni estetiche che ci attenderemmo da Sokurov. Comunque sia, nell'insieme "Fairytale" sotto il profilo formale appare intenzionalmente collocarsi sotto il segno del grottesco. In questo senso si possono ritenere funzionali anche gli effetti stranianti che generano le espressioni assunte dai volti.
Va riconosciuto anche che Sokurov non vuole essere preso realmente sul serio. Nel caso non bastasse la concezione stessa del film, le intenzioni semiserie di "Fairytale" sono ben evidenti quando alla fine l’entità suprema – ovvero Dio – si mette a scherzare sui cappelli della Regina. Ebbene, anche per questo il film appare come una fantasia che ha tutti i crismi della divagazione. Un divertissement, che forse avrebbe giovato di una durata ancora minore (quella di un mediometraggio, delle elegie sokuroviane) e che rimane lontano dalle altezze raggiunte dai lavori maggiori del maestro russo.
regia:
Alexander Sokurov
titolo originale:
Сказка
durata:
78'
produzione:
Intonations
sceneggiatura:
Alexander Sokurov
musiche:
Murat Kabardokov