Se c'è un autore contemporaneo che sta tentando di portare la sua opera cinematografica a superare i limiti della settima arte stessa, questi è Nuri Bilge Ceylan. Il suo cinema dell'indicibile raggiunge con "C'era una volta in Anatolia" dei risultati quasi spossanti per la loro portata. Ma partiamo dal principio.
Si tratta del racconto di una notte sperduta nel cuore delle campagne turche, dove il nero è squarciato da pochi fari di macchine e luci di locande e dove ciò che si sente è il gracchiare dei grilli e qualche dialogo umano sparso. Nell'arco di quel lasso temporale che va da un tramonto all'alba successiva, un procuratore e un medico si mettono in marcia insieme a due fratelli rei confessi di omicidio per rintracciare il cadavere sperduto della vittima. Vi starete chiedendo: un thriller in Anatolia? Non proprio. Perché se conoscete un minimo lo stile ceylaniano saprete che lo stratagemma del mistero è utilizzato con altri intenti. Il regista turco insiste ancora in un affresco tanto suggestivo quanto estenuante che riguarda la natura umana e la Natura vera e propria: la folgorante messa in scena visiva, con spazi larghi e particolareggiati sempre emozionanti è la cornice ideale per un vero e proprio trattato sulla condizione umana.
I protagonisti di questo indecifrabile film si muovono nella notte turca con cadenze ritmate uguali e ripetute: la carovana si mette in marcia, poi si ferma, poi discute, poi riparte. E mano a mano che le prime luci del mattino si avvicinano lo spettatore ricostruisce sempre meglio i caratteri dietro i volti. Una vera e propria scoperta cui l'autore ci accompagna mano nella mano. Il noir si spegne e lascia spazio all'inafferrabilità del destino umano: la ricerca del corpo di un morto è la rincorsa a una propria personale epifania: l'essere umano che prende coscienza di sé.
Il tragitto, vi avvertiamo, è quanto di più faticoso ci possa essere al cinema. Parole e ritmo vengono dilatate all'inverosimile. Perché? Perché Ceylan crede in un processo lento e meticoloso, il tempo dell'uomo non è frenetico come nelle pellicole d'azione, è un doloroso e sofferente cammino verso una possibile luce. Riuscire a seguire la singolare comitiva che si muove in questa buia notte dell'Anatolia è tanto impegnativo quanto illuminante. Al termine dell'avventura, forse, sarà lo spettatore ad essere il più soddisfatto della strada percorsa.
Ceylan piace molto ai critici e alle giurie europee e americane. Forse perché tutti lo guardano con un certo sentimento nascosto d'invidia: la sua noncuranza per il tempo cinematografico, il suo riuscire a catturare con tale senso per la goduria dell'occhio paesaggi e panorami davvero indescrivibili a parole, tutto ciò suscita ammirazione e sconcerto. Rispetto ai suoi lavori precedenti c'è come una sorta di irrigidimento nei suoi dogmi e nelle sue regole morali e artistiche. La sua poetica alla costante ricerca della risposta agli interrogativi più profondi sull'esistenza stessa può addirittura respingere nei 150 minuti di "C'era una volta in Anatolia". Ma è comunque un cinema necessario e vitale come non mai, che siamo ben lieti possa trovare spazio, anche se a ridosso del periodo estivo, nelle nostre sale.
Che cosa non ci è piaciuto: l'ultima parte del film, quando la sceneggiatura mostra la corda di un componimento diventato di proporzioni titaniche anche per il suo ideatore. La risoluzione della vicenda, dopo il ritrovamento fatidico, pare quasi "frettoloso", aggettivo che, potrete ben capire, stona completamente con lo stile di Ceylan. Delle due l'una: o il cineasta di Istanbul impara a frenare la sua ambizione smisurata o deve dimostrare più coraggio e affondare la sua lama fino in fondo. Considerando che il suo originale viaggio per i frastagliati sentieri della condizione umana è iniziato da poco, c'è solo da attendere trepidanti i nuovi episodi.
cast:
Muhammet Uzuner, Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Firat Tanis
regia:
Nuri Bilge Ceylan
titolo originale:
Bir zamanlar Anadolu'da
durata:
150'
sceneggiatura:
Nuri Bilge Ceylan, Ebru Ceylan e Ercan Kesal
fotografia:
Gökhan Tiryaki
scenografie:
Çagri Erdogan e Dilek Yapkuöz Ayaztuna
montaggio:
Bora Gökşingöl e Nuri Bilge Ceylan