Juan Diego Botto, attore e regista di origine argentina, gira il suo primo lungometraggio, presentato a Venezia 79 per la sezione "Orizzonti". Si tratta di un dramma a sfondo sociale che affonda il dito nelle problematiche socioeconomiche, come ad esempio quella degli sfratti, vera piaga della Spagna all’epoca della crisi dei mutui. Quello di Botto è perciò un film denuncia, con un angolo visuale ben preciso, dal basso e in un’ottica impietosa, ma che affida al pubblico anche un messaggio di speranza, grazie a un finale sostanzialmente aperto e a quanto uno dei protagonisti, Rafa, dissemina per tutto il corso della trama.
Siamo nella Madrid del sottoproletariato urbano, di chi lotta con le unghie e coi denti per non subire lo sfratto dalle conseguenze disastrose, come Azucena (Penelope Cruz), o di chi, come Teodora (Adelfa Calvo), convive con la medesima spada di Damocle a causa di un’azzardata speculazione del figlio; vi è poi la vicenda di una giovane maghrebina che rischia di perdere l’affido della figlia Selma. Le tre linee narrative si raccordano su Rafa (Luis Tosar), avvocato di mezza età, donchisciottesco difensore dei diritti degli ultimi, paladino di cause disperate, oltre che marito e padre distrattamente amorevole. Il protagonista, col suo agire frenetico, l’incalzante agenda degli appuntamenti cui non mancare, colloca la vita lavorativa davanti a quella privata, mettendo a repentaglio i rapporti con i familiari. L’altruismo e la generosità, in una realtà difficile, hanno bisogno di un volto maturo, oltre che di un animo nobile. Ecco il perché della scelta di Luis Tosar.
Positivamente connotato, è l’emblema di una società in cui un po’ tutti vanno di fretta: nella Madrid che fa da sfondo al film di Botto, la macchina da presa si muove rapida e nervosa tra interpreti quasi mai seduti, che hanno sempre un luogo nel quale recarsi, una meta da raggiungere, un sogno cui aggrapparsi. Una Madrid in cui i tempi morti letteralmente non esistono, e chi si ferma o rallenta viene travolto dalla fiumana degli eventi: Rafa colleziona contravvenzioni per sosta vietata perché nella sua generosa e compulsiva agenda di pensiero deve espletare più compiti contemporaneamente, tanto che non sa mai dove siano le chiavi della sua auto; il figlio segue Azucena a passo da adulto trascinandosi stancamente dietro lo zainetto, tanto che sembra lui ad accompagnare la madre a scuola e non viceversa. O, ancora, il figlio di Teodora letteralmente corre verso di lei intuendo il senso macabro di un videomessaggio. Anche senza insistere ossessivamente con inquadrature su sveglie o orologi, il tempo sembra un invisibile Leviatano cui tutti devono sacrificare una parte della loro esistenza, e a guardare la pellicola da un’ottica sociologica verrebbe da chiedersi dove sia finita la civiltà della siesta. Si potrebbe dire, banalmente, che è stata sostituita da quella del cellulare, altro elemento importante della pellicola.
Sul piano filmico, con un ritmo narrativo concitato e un montaggio che deve necessariamente corrispondergli, a pagare dazio sono alcuni aspetti della sceneggiatura, come lo scavo nei rapporti interpersonali, che sarebbe potuto essere ben più incisivo. Il caso di Rafa e del figliastro Raul, ridotto, nonostante il suo arco di trasformazione, a poco più di un pacco postale al seguito del padre, è quello più evidente. Il personaggio di Azucena, grazie anche a un minutaggio ben dosato, appare meglio sfaccettato, anche se il confronto con il marito (interpretato da Botto) si riduce e concentra in un’unica sequenza.
Allargando la prospettiva, "En los margenes" pare avere importanti debiti con la cinematografia al di là dei Pirenei che con quella iberica: qui non c’è spazio per la sottile e accattivante ironia de "Il capo perfetto", mentre la freddezza della fotografia, l’essenzialità delle tecniche di ripresa, l’insistenza sull’osmosi tra mondo lavorativo e qualità dei rapporti umani, la spersonalizzazione degli ambienti, ridotti da centri di vita ad anonimi luoghi di passaggio ci ricordano più Ken Loach.
Tuttavia, coerentemente con quanto promesso nell’impianto di sceneggiatura, nel finale la solitudine dei protagonisti e, soprattutto, la fatalistica accettazione di sconfitta sociale, che albergava in alcuni di essi, cedono il passo all’ottimismo. Con la sua pellicola, il regista ispano-argentino chiede al proprio pubblico di riflettere sul fatto che dietro le fredde cifre dell’ecatombe degli sfratti che annualmente vengono snocciolate dai media vi sono il sangue, la carne, gli affetti, le vite concrete di altrettanti cittadini. La sincerità dello sguardo con cui egli contempla i suoi personaggi è sicuramente la dote migliore del film.
cast:
Sergio Villanueva, Aixa Villagrán, Christian Checa, Nur Al Levi, Adelfa Calvo, María Isabel Díaz Lago, Luis Tosar, Juan Diego Botto, Penélope Cruz
regia:
Juan Diego Botto
titolo originale:
En los márgenes
distribuzione:
Bim
durata:
105'
produzione:
Morena Films, La Compagnie Cinematographique, Amazon Prime Video, Ayuntamiento de Madrid, BE TV
sceneggiatura:
Juan Diego Botto, Olga Rodriguez
fotografia:
Arnau Valls Colomer
scenografie:
Clara Notari
montaggio:
Mapa Pastor
costumi:
Wanda Morales
musiche:
Eduardo Cruz