Intrattenimento allo stato puro. Questo è il senso del film-kolossal in costume "Elizabeth The Golden Age", seconda puntata della saga sulla celebre regina d'Inghilterra con il volto di Cate Blanchett. Godibile, nella sua durata non eccessiva, poco meno di due ore e piacevole per la scorrevolezza della narrazione di una storia piena di volti e personaggi. La macchina da presa, gestita con onesta grazia dal regista pachistano Shekhar Kapur, autore anche del primo episodio "Elizabeth" del 1998, si muove con leggerezza in un contesto dai toni apertamente epici. Costumi sontuosi, colori scintillanti, la produzione ricchissima (Universal Picture) completano la confezione di un prodotto destinato al pubblico dei blockbuster.
La Blanchett, nei panni della regina "vergine" che trasportò l'Inghilterra fuori dal Medioevo, è severa con quello sguardo ceruleo e le sopracciglia bionde, quasi invisibili, che le danno un aspetto algido e appassionato al tempo stesso. Forse è un po' troppo moderna l'immagine restituita dal plot, ma è affascinante e fa piacere pensare che fosse proprio così. Il film esamina Elizabeth nel mezzo del cammino della sua vita, a 38 anni circa, e ne narra gli amori platonici per la sua favorita Bess Throckmorton, la burrosa Abbie Cornish, e sir Walter Raleigh, un Clive Owen sempre più fedele al ruolo di bel tenebroso un po' guascone ma saggio, malandrino nelle azioni ma onesto nelle intenzioni.
Geoffrey Rush offre il volto a Francis Bacon, il filosofo che fu fedelissimo e amatissimo consigliere della sovrana. Al centro della storia, le vicende che la condussero a sconfiggere l'Invencible Armada spagnola e la traghettarono nel territorio del mito. Elizabeth-Cate si confronta con la sua stessa grandezza e sembra soccombere ai conflitti che inevitabilmente la dilaniano, lei donna, regina e non maritata. Ma il suo destino è quello di essere sorprendentemente potente e libera per quello che era consentito all'epoca al genere femminile.
Pure non manca una certa retorica nella narrazione. Tra le scene di battaglia in mare, ormai tutte uguali nella loro freddezza digitale, azioni inverosimili, semplicistici ritratti di eroi senza macchia e senza paura come dei cattivi, brutti e un poco stolti, a volte si ha la sensazione del déjà vu. Contestabile è l'aperta critica a senso unico alla religione cattolica, che attraverso l'impietoso ritratto del re spagnolo Filippo II appare come portatrice di male assoluto e imperdonabile ignoranza, oltre che di malattia mentale, contrapposta invece al protestantesimo di Elizabeth e del suo popolo, per questo libero, sano e votato al progresso.
La regina scozzese e cattolica Maria Stuart (Samantha Morton), che Elizabeth mandò al patibolo, risulta quasi stucchevole nella sua enfasi ascetica. Un giudizio in bianco e nero senza appello che emerge privo di quelle sfumature indispensabili per affrontare il tema così delicato con autorevolezza. A tal proposito il regista afferma che questa non voleva essere una critica a una religione, bensì all'uso spregiudicato che il potere fa del fervore religioso, e del male che ne deriva.
Compensa questo difetto la pulizia dell'incedere narrativo e la capacità di far parlare le immagini, grazie anche a una recitazione impeccabile, all'equilibrio tra dialoghi e inquadrature e a un linguaggio filmico chiaro e preciso senza sbavature, a volte molto spettacolare, ma non per questo meno incisivo. Come quando vediamo la regina accasciarsi, sola, dopo una dolorosa sfuriata, ripresa dall'alto di una bifora medievale, e la sensazione di vuoto e imponente solitudine prende alla gola. La sensazione, positiva, è quella di trovarsi davanti a un film capace di emozionare e divertire senza pretese culturali e, nonostante questo, in grado di essere fedele alla Storia e alle storie che racconta.
cast:
Cate Blanchett, Clive Owen, Geoffrey Rush, Samantha Morton, Jordi Mollà, Abbie Cornish
regia:
Shekar Kapur
titolo originale:
Elizabeth: The Golden Age
distribuzione:
Universal Pictures
durata:
114'
produzione:
Tim Bevan, Jonathan Cavendish, Eric Fellner
sceneggiatura:
Michael Hirst, William Nicholson
fotografia:
Remi Adefarasin