Premessa: la visione di "El Camino" prevede necessariamente la conoscenza dell’intera serie di "Breaking Bad", che quindi sarà data come scontata nel resto della recensione. Se non avete visto tutto "Breaking Bad", fermate qui la lettura e non perdete tempo con "El Camino".
"Breaking Bad" è stato uno dei fenomeni televisivi degli scorsi anni, come discusso ampiamente su Ondaserial. Uno dei motivi del successo era stato un arco narrativo compatto con un finale decisamente soddisfacente. Di particolare impatto nell’ultima puntata era proprio l’inquadratura finale dedicata a Jesse Pinkman, non la gioia per la liberazione ma un urlo disperato di un uomo disperato che non ha più niente e guida verso il niente. Il che acquistava particolarmente senso, dato che il percorso di Pinkman nella seconda parte della serie era proprio una ricerca di significato, piuttosto che di potere o denaro come tutti gli altri personaggi. Concludere la serie con il personaggio tornato quasi a uno stato primigenio era una bella idea.
Partiva quindi in salita, questo "El Camino", decidendo di riprendere la storia di Pinkman dal momento successivo a quella inquadratura. Vediamo Jesse cercare di ripartire grazie a vecchi amici e nel frattempo ci vengono dati in flashback informazioni sul periodo di prigionia. Il percorso, al solito è irto di caos e coincidenze mentre il protagonista attraversa tutte le fasi standard dei film a tema “recupero da un trauma”.
Due elementi possono dare la misura della mancanza di impatto di questo film. Il primo è che i due climax di tensione si hanno nel confronto tra Pinkman e personaggi del tutto secondari che non hanno nessun interesse, anzi, sembrano essere piuttosto scelti male come nemici da sconfiggere come simbolo di riscatto personale. Il secondo è che dei tre camei di personaggi della serie messi nel film, solo il primo ha senso narrativo. Gli altri sono proprio messi lì solo a ravvivare una nostalgia che è l’unica ragion d’essere – assolutamente insufficiente - del film. Sulla parentesi western caliamo invece un velo pietoso.
Il comparto tecnico è abbastanza solido, ma si fatica a trovare un guizzo. Ci sono giusto un paio di momenti interessanti, che ricordano le trovate più argute della serie originale. In particolare, la ricerca di un oggetto in una casa consente di utilizzare alcune inquadrature non banali che erano sempre state anche il vezzo della serie, intervallati con un complesso flashback di sapore coeniano. Lì, per una decina di minuti, si riconosce l’impronta di Gilligan, quel cinismo inventivo che tanto (ci) piaceva all’epoca.
Ma anche a voler essere generosi, "El Camino" si accosta al più a quelle puntate ingegnose della prima serie in cui i nostri si confrontavano con Tuco, ma curiosamente non abbiamo neanche una scelta morale, un dubbio, in tutto il film. Si procede in automatico da ostacolo a soluzione, mentre erano le relazioni tra personaggi la vera essenza della serie originale.
Perché "Better Call Saul" è – nei limiti – una espansione sensata dell’idea di "Breaking Bad" e "El Camino" no? Perché il primo si pone di lato alla trama principale, come complemento, un po’ alla “Fuoco cammina con me” se ci si permette il paragone, mentre il secondo vuole porsi come continuazione e quindi si carica di aspettative che erano impossibili da mantenere, anche con un progetto migliore di questo.
cast:
Aaron Paul, Bryan Cranston, kristen ritten
regia:
Vince Gilligan
titolo originale:
El Camino - A Breaking Bad Movie
distribuzione:
Netflix
durata:
122'
produzione:
Netiflix
sceneggiatura:
Vince Gilligan
fotografia:
Marshall Addams
scenografie:
Vince Gilligan
montaggio:
Skip MacDonald
musiche:
Dave Porter