Ragionando sui motivi che rendono così popolare il genere biopic si possono fare varie ipotesi. La prima è quella più semplice e che va incontro a uno dei requisiti principe del cinema che è quello di poter mostrare ciò che è impossibile alle altri arti, addentrandosi con le sue capacità affabulatorie nei luoghi preclusi alla conoscenza delle genti e, nel caso specifico, nel privato degli uomini e delle donne che hanno fatto la storia del mondo. Come un feuilleton illustrato da immagini in movimento il biopic ci fa rivivere la genesi delle grande imprese, collegandole il più delle volte a un privato - quello dei protagonisti - non altrettanto straordinario ma anzi - è qui sta una delle sue formula vincente -, simile a quello dello spettatore a cui non pare vero di vedersi accomunato, almeno nei bisogni più intimi, ai grandi della Storia. Alla prima supposizione se n’è aggiunge una seconda, più specifica rispetto alla materia trattata, per il fatto di ricollegarsi al valore ontologico dell’immagine cinematografica. Quest’ultima, svilita nella sua istanza di verità dalla tragedia dell’11 settembre e da una copertura mediatica allestita si alla maniera dei mainstream di matrice hollywoodiana (presente nelle inquadrature relative al crollo delle torri gemelle,) ma a differenza dei tanti blockbuster collocata in un contesto di assoluta realtà. Chiamata a riconquistare terreno rispetto all’oggetto delle propria indagine è come se la settima arte, in special modo quella legata all’industria statunitense, avesse trovato nella messinscena di vite realmente esistite la maniera di mondarsi del suo “peccato originale” (conferitogli dalla predisposizione romanzesca) senza rinunciare alle prerogative ludico spettacolari che da sempre gli appartengono.
Non ci si meravigli, dunque, se, a fronte di una stagione estiva annunciata piena di buoni propositi distributivi e poi apparecchiata più o meno con gli stessi ingredienti degli scorsi anni, a riempire il palinsesto delle uscite settimanali sono due titoli appartenenti alla categoria menzionata: “The Deep" di Baltasar Kormákur, prodotto nel 2012 e soprattutto “Edison - L'uomo che Illuminò il Mondo”, realizzato nel 2017. Questo per dire quanto forte sia la necessità del mercato di soddisfare le richieste di un simile spettacolo, e di come gli esercenti, pur di puntare sul sicuro, siano disposti a fare un passo indietro, riconsiderando titoli a suo tempo scartati dai listini. Certo, a differenza di quello del regista islandese “Edison - L'uomo che Illuminò il Mondo” presenta un cartellone di maggiore appeal, non solo perché a fronte dell’anonimo pescatore sopravvissuto al naufragio del suo peschereccio propone la vicenda umana di Thomas Alva Edison, inventori tra i più famosi di tutti i tempi, un uomo a cui si deve, tra l’altro, la creazione del kinetoscopio, capace di dare il via alla cinematografia, ma soprattutto per via della partecipazione di alcuni tra gli interpreti più popolari dell’intrattenimento made in Hollywood e in particolare di quello legato all’universo Marvel, a cui hanno dato il loro contributo sia Benedict Cumberbatch (qui, nel ruolo di Edison) che Tom Holland e Nicholas Hoult.
Purtroppo, però, quella che a prima vista doveva essere una delle qualità del film si rivela in realtà un fattore negativo poiché abituati a vedere Cumberbatch e soci confrontarsi con la parte meno scientifica e più caotica dell’esistenza, si fatica a ritrovarli nell’ossessiva razionalità di un contenitore che oltre a non rispettarne l’immaginario di riferimento li riduce a elementi funzionali alla progressione degli avvenimenti, senza considerarli come persone a tutto tondo. Si aggiunga, poi, la particolarità della costruzione narrativa, la quale, dovendo riferire le vicende di uomini di pensiero più che d’azione, subordina l’autonomia psicologico sentimentale dei protagonisti alle esigenze divulgative di quello che con il passare dei minuti finisce per assomigliare a una sorta di Super Quark cinematografico, con la spiegazioni di pensieri e teorie legati alla cosiddetta “guerra elettrica” tra Edison e Westinghouse, a farla da padrone rispetto alla complessità dei caratteri che le hanno generati. Occupati a contendersi la supremazia imprenditoriale derivata dalle loro scoperte, e quindi a vincere gli appalti per illuminare le città con l’impiego della corrente continua (Edison) al posto di quella alternata di cui si fa promotore George Westinghouse, pioniere dell’industria elettrica (impersonato da un Michael Shannon meno “cattivo” del solito), i nostri si dimenticano della realtà circostante, al punto di fare della morte di famigliari e colleghi un mero evento statistico e non un momento per mettere in scena un esempio coerente di coscienza umana. Da par suo Gomez-Rejon c’è la mette tutta per giustificare la valenza cinematografica della sua regia ma i continui movimenti della mdp, le panoramiche a schiaffo, i dolby e i carrelli utilizzati per rendere la velocità di pensiero e la libertà d’espressione del protagonista poco possono con la normalità di una messinscena tanto prevedibile quanto può esserlo quello di un qualunque programma televisivo.
cast:
Benedict Cumberbatch, Tom Holland, Nicholas Hoult, Katherine Waterston:
regia:
Alfonso Gomez-Rejon
titolo originale:
The Current War
distribuzione:
01 Distribution
durata:
107'
produzione:
Bazelevs Production, Film Rites, Fourth Floor Productions
sceneggiatura:
Michael Mitnick
fotografia:
Chung-hoon Chung
scenografie:
Jan Roelfs
montaggio:
David Trachtenberg
costumi:
Michael Wilkinson
musiche:
Volker Bertelmann, Dustin O'Halloran