Non ci sono più luccicanti tesori, opere d'arte dal valore inestimabile o bottini in denaro. Il furto del nuovo millennio secondo lo sceneggiatore-regista Tony Gilroy si gioca su un livello diverso: vince, e si arricchisce più in fretta, chi riesce a mettere le mani su preziose formule scientifiche per misteriosi prodotti "rivoluzionari". Con il consueto cinismo che ci si aspetta da chi ha scritto la trilogia sull'agente segreto smemorato
Jason Bourne e il cupo
legal thriller "
Michael Clayton", Gilroy immagina una guerra tra multinazionali, con il mefistofelico Tom Wilkinson da una parte e l'avido Paul Giamatti dall'altra (l'azzuffata in
ralenti sui titoli di testa è la cosa migliore della pellicola), entrambe impegnate a spiarsi a vicenda, senza risparmiarsi in colpi bassi. In mezzo ci si mettono due ex spie che vogliono fare la bella vita: lui è il britannico Clive Owen, lei l'americana Julia Roberts. Si amano, si odiano, lavorano assieme, e all'insaputa di tutti, per fregare entrambe le società, vogliono mettere le mani sulla preziosa formula segreta e venderla al miglior offerente.
Gilroy abbassa le ambizioni polemiche dei suoi lavori precedenti e guarda alle rilassanti commedie giallo rosa dei tempi d'oro, un po' l'Hitchcock di "Caccia al ladro" (le schermaglie amorose tra i due protagonisti), un po' "Topkapi", un po' "Gambit - Grande furto al Semiramis", rimescola le carte tra mille colpi di scena e tanti flashback che vorrebbero fare luce, un poco alla volta, sulle reali intenzioni dei personaggi, ma suonano posticci e ininfluenti, utili giusto a cambiare
location (Dubai, Roma, Londra, Miami) e allungare il fiato ad una storia che poi non è così complessa come vorrebbe apparire. Il vero guaio è che non c'è chimica tra i due divi: Clive Owen si impegna a fare la migliore imitazione possibile di James Bond, pur vantandosi pubblicamente di aver rifiutato l'offerta dei Broccoli di interpretare l'agente segreto più famoso del pianeta, la Roberts gioca per l'ennesima volta a interpretare la
dark lady di turno, ma gli anni passano per tutti, e qui è più imbolsita che mai. Meglio i comprimari di lusso, ma non hanno lo spazio che meritano. Lo spettacolo all'inizio, per quanto vacuo, è passabile e ben impaginato (confezione tirata a lucido) ma poi la sceneggiatura si spappola tra buchi logici, soluzioni puerili (la funzionalità della formula tanto ambita) e inutili spiegoni che portano allo sbadiglio.
Non si rimpiange solo il cinema del passato, ma pure Clooney, Soderbergh e l'allegra combriccola di "Ocean's Eleven" (e seguiti).