Si aggira tra le macerie della città distrutta dal terremoto, Sabina Guzzanti, tra le tendopoli e le
new town, dopo un efficace incipit tra l'incubo e il surreale. Ma purtroppo è tutto vero, così come quello che seguirà. Intervista persone comuni, magistrati, giornalisti, rappresentanti politici e della protezione civile; mostra dati, commenta, spiega e tira invariabilmente le somme per dimostrare quali vantaggi siano stati tratti, e come il primo ministro italiano abbia sapientemente approfittato del disastro de L'Aquila del 6 aprile 2009 per riparare al calo di popolarità che lo aveva colpito nel periodo precedente. Un'osmosi di giochi di potere, depistaggi mediatici, leggi modificate, tutela di interessi specifici per ottenere appalti, costruire, guadagnare, con responsabilità che vanno dal capo del governo a quello della protezione civile.
Niente parodie o imitazioni, la Guzzanti produce un film d'inchiesta con carattere, personalità e sincero impegno. Rispetto a "Viva Zapatero" perfeziona il proprio stile, che si fa più compatto, asciutto, dinamico, chiaro e preciso, agguerrito e sensibile allo stesso tempo, con l'ausilio di grafica, interviste, documenti sonori. Nei limiti del rispetto per la tragedia, il film riesce a ironizzare e commuovere, e soprattutto a far riflettere e indignare. Non risparmia nessuno, neanche l'opposizione, efficacemente rappresentata da un gazebo lasciato vuoto per mesi, come senza sostegno sono rimaste le persone a protestare; e non fa mancare le testimonianze convinte di cittadini favorevoli all'operato del governo, lucidamente obnubilate da un culto mediatico dell'immagine. Difficile indicare un unico momento chiave o intervista-simbolo tra le molte che costituiscono il mosaico agghiacciante nascosto dietro il post-terremoto, ma c'è da riflettere e fare attenzione soprattutto all'ultima semplice e lucida considerazione di un intervistato.
Sabina Guzzanti fa emergere le logiche di potere ed economiche che hanno sotteso la gestione della catastrofe, e ovviamente rimandiamo alla visione del film per approfondire propriamente. Un percorso lucido, animato dalla volontà di spiegare e raccontare prima ancora che di accusare; emergono collusioni con la malavita, responsabilità precedenti il terremoto, scelte successive a favore di cricche di imprenditori; e ancora l'intercettazione che tutti tristemente conosciamo dei turpi galantuomini che ridevano, spese inutili, la gestione militarizzata delle tendopoli, i depistaggi e l'informazione incompleta e pilotata; e poi il superomismo di cui è investito il capo della protezione civile e lo status speciale e privilegiato grazie al quale può venire dichiarato lo stato d'emergenza per una qualunque vantaggiosa circostanza (anche solo per un viaggio del pontefice, che quindi viene interamente finanziato con soldi pubblici).
Circa le polemiche sollevate dal ministro della cultura italiano e le motivazioni per essere assente a Cannes, segnaliamo soltanto quello che la stampa estera ha evidenziato. Ad esempio, traduciamo quello che Philippe Ridet ha scritto su "Le Monde": "Questo episodio mette in luce il disprezzo del governo italiano per qualunque critica, uguagliata a una 'denigrazione dell'Italia'. Questa linea di difesa ha lontani precedenti. Vittorio Mussolini, secondo figlio del Duce, uscì furioso dalla proiezione di Ossessione (1942): 'Questa non è l'Italia', si scrisse. Nel 1948, il futuro presidente del consiglio, Giulio Andreotti, volle interdire Ladri di biciclette e altre opere neorealiste perché davano un'immagine 'deprimente' del paese. Loro almeno guardavano i film."
C'è chi ha parlato giustamente di uno "stile alla Michael Moore", ma la Guzzanti è prima di tutto se stessa: comica, giornalista, regista, figura indefinita ma essenziale, come sono stati costretti a diventare altri suoi colleghi in questi anni col grande merito di sopperire all'informazione irreggimentata, spinti a sostituirsi nel ruolo di veri informatori ai giornalisti colpevolmente latitanti. Si sa che compito del Comico è svelare le contraddizioni del potere (lo insegnò Lenny Bruce), colpire il sistema e le convenzioni più o meno a fondo; ma l'anomalia italiana è che tocca ad altri fare informazione poiché il giornalismo adempie soltanto parzialmente al proprio dovere, non la fa del tutto oppure lo fa molto male; o ancora lo fa, ma in spazi ristretti e limitati, tanto che l'informazione d'inchiesta viene vista come militante, forcaiola o propagandista. Mentre i ruoli di comici, politici, giornalisti e figure pubbliche si intrecciano, si confondono, in una convivenza mediatica ambigua. Ma questo è un altro discorso, come si potrebbe riflettere sul fatto che il film d'inchiesta in Italia è quasi assente a fronte di un materiale monumentale e potenzialmente illimitato.
Perché Draquila è ancora nel suo castello e la notte sembra ancora lunga.
17/05/2010