L'eredità di "Dragon Ball", ancor prima di quella del suo autore, coinvolge l'arte del fumetto orientale e in seguito la fruizione pop occidentale dello stesso. Non è tanto la fortuna del canone di Akira Toriyama a stupire, quanto la necessità in Giappone di dover trovare il sostituto per colmare un valore simbolico ma soprattutto di mercato. A oggi "One Piece" sembrerebbe la figliazione più florida e paragonabile, se non altro per lo sfondamento esterno al proprio mercato domestico. Tuttavia, "Dragon Ball", poiché franchise sedimentato nell’immaginario collettivo, continua a vivere per le volontà produttive della Toei Animation, anche sfruttando la rigenerazione della serie in testi collaterali (il successo del videogioco "Dragon Ball FighterZ") e similari (la serie animata "Super" e il suo manga).
Eccoci al film, dunque. "Dragon Ball Super: Broly" partecipa semanticamente al maggiore successo commerciale[1] dei lungometraggi DB di sempre. Quel "super" appunto che spezza la continuità dello "Z", caratteristica dei due precedenti film del nuovo corso del franchise, chiamando in causa anche le implicazioni rigenerative interne al testo e ai suoi personaggi: reboot di due elementi iconografici dei DB movies, quali Broly e Gogeta.
DBS ripesca il conosciuto adattato al nuovo canone, Goku e compagnia, accompagnandolo ai personaggi di cui sopra, desiderata del fandom, e ne esce un prodotto dalle caratteristiche peculiari della scrittura di Toriyama: brotherhood machista, gag parossistiche, scontri esponenziali. Viene meno il senso del sacrificio, nascosto da una leggerezza ironica debordante (il villain preferisce guadagnare 5 centimetri in altezza piuttosto che l'immortalità), anche quando eccessivamente fan service (le fusioni errate). In questo secondo caso, escono i limiti di un prodotto che ha bisogno di ripetersi e allacciarsi alla continuity per rispetto del già narrato (il quale oggi ha valore, domani chissà?), mai profondamente autonomo, anche se il tentativo di generare qualità proprietaria è innegabile.
Nonostante una prima parte diluita e generica ma audace nel privare lo spettatore dello scontro in favore di un world building funzionale a svecchiare un personaggio (Broly), la deriva nella scrittura è evidente. Si è parlato di tagli a uno script curato da Toriyama stesso dell'ipotetica durata di tre ore[2], minutaggio evidentemente in esubero per un prodotto del genere. I tagli però bucano la trama sconsideratamente tanto che qualsiasi castello logico eretto a difesa del film, si comporrà di carte. Gli stessi scontri si trasformano in un fight ride vuoto e DBS perde anche il confronto qualitativo con il l'opera cartaceo di Toriyama, solitamente cervellotico e coerente anche nelle sue varianti tamarre.
Cosa rimane da mostrare dunque? Semplicemente, il gesto. La reiterazione dello sferrare il colpo e vederlo subire, in una forma ancora appetibile, sempre profondamente uguale a sé stessa, premiata da un lavoro artistico di buon livello. L'incrollabile estetica (la modificazione del colore) ed etica (combattere per migliorarsi) dell'animazione del combattimento fatto di ritmi alti, cinetici e al servizio di una spettacolarità anti-naturalistica e patinata, pulitissima anche nei picchi di violenza.
La direzione artistica, supervisionata da Kazuo Ogura, è probabilmente l'elemento chiarificatore del risultato incerto del film. Le animazioni possono considerarsi un vanto, ma lo stesso non si evince dall'indecisione nel character design. I personaggi sono resi mediante stili differenti tra loro, passando tra l'aspetto adulto classico e il ringiovanimento della nuova saga. Sarebbe un graziosissimo e unico guilty pleasure se questa tendenza si concretasse in animazioni meno plastiche e già note. Invece di differenziare, il design tende a far somigliare stili fin troppo evidentemente lontani, sommandosi in un lavoro disomogeneo, maldestro. Purtroppo "Dragon Ball" sa essere soltanto sé stesso e l'iconica CGI a guisa di sfondamento dimensionale rimane divertissement certo lodevole, brutto a vedersi e limitatamente intelligente. Quanto basta per dirsi compito riuscito sul mercato, visto che il pubblico ringrazia.
[1] Necessario approfondimento di mercato, motivo principale per il quale si parla di DBS anche su queste pagine: il film ha incassato globalmente 115 milioni di dollari, il 37% proveniente da mercati differenti da Usa e Giappone. In molti paesi del Sudamerica e nei maggiori mercati europei supera il milione. Traguardo globalmente interessante; di certo sono cifre meno altisonanti se paragonate a quelle dell’animazione che traina il mercato, ma degne di nota.
In Italia è il maggiore incasso nella settimana del lancio con 1,6 milioni di euro, superando un competitor come "The Lego Movie 2" che genera 1,3 milioni di euro al lancio. Totalmente nel nostro paese raggiunge i 2,7 milioni. La distribuzione italiana non segue il trend del film evento, riservandogli un posto fisso in sala, chiaro messaggio del valore di mercato riservato al prodotto.
Se in Giappone il buon incasso, circa 34 milioni di dollari, è routine (per capirci, "Your Name." raggiunse 235 milioni di dollari soltanto nel mercato domestico, il 67% del totale), nel resto del mondo si configura come un successo. In Cina la release frutta 4,5 milioni.
[2] Fonte: Comicbook.com
cast:
Masako Nozawa, Ryō Horikawa, Aya Hisakawa
regia:
Tatsuya Nagamine
titolo originale:
Doragon Bōru Sūpā: Burorī
distribuzione:
Koch Media, 20th Century Fox
durata:
100'
produzione:
Toei Animation
sceneggiatura:
Akira Toriyama
musiche:
Norihito Sumitomo