"Doppio passo" è un lessema polirematico tratto dal mondo calcistico, indicante il contatto con il pallone simulato dal giocatore che compie dei movimenti attorno alla sfera con una gamba al fine di disorientare l’avversario. Nel primo lungometraggio di Lorenzo Borghini, invece, questa espressione viene presa in prestito dall’ambito semantico sportivo al fine di indicare altro: non tanto il duplice tentativo fallito di Claudio, il capitano protagonista del film, di acquistare un ristorante e di ottenere un contratto sportivo migliore da un punto di vista economico, quanto il rapporto di prossimità che il racconto intrattiene con il mondo calcistico. Il film, a dispetto di quanto possano far intendere il titolo e la sinossi, non è dedicato al pallone: è ambientato in questo contesto e da esso inizia la narrazione, per poi allontanarsene del tutto già nei primi minuti al fine di raccontare altro. Il calcio, ambito del protagonista, e il mondo economico, alveo dell’antagonista, vengono utilizzati solo in quanto metonimie del successo, metafore di un mondo luccicante fatto di notorietà, materializzata nei tifosi osannanti, oltre che di lusso esemplificato da feste, guadagni da capogiro e yatch, simboli dello sfarzo che si può concedere chi ha raggiunto "la vetta".
"Doppio passo" scava nei recessi di questi ambienti e racconta il controcampo, la metà nascosta dell’iceberg rispetto alla narrazione dominante, incentrata sul luccichio del successo, dei pochi che riescono ad emergere alla grande notorietà, a discapito delle migliaia di mediocri che non possono (per incapacità o sfortuna) raggiungere la vetta e si scontrano con la distruzione non solo dei propri sogni, ma anche della propria individualità: sia psicologica che, a maggior ragione, economica e sociale. Il calcio è quindi soltanto un pretesto liminale per parlare d’altro, dato che il nucleo tematico del film è l’umanissima mediocrità dei personaggi, alle prese con aspirazioni che si scontrano con il fato imprevedibile e con la ristrettezza delle proprie possibilità, tanto economiche che sociali. Così il capitano Claudio Russo, interpretato da un bravissimo Giulio Beranek, sperimenta il fallimento personale e la distruzione dei suoi sogni proprio nel momento in cui stava per realizzarli, precipitando pian piano in un abisso fatto di ristrettezze economiche, separazione dalla famiglia, minacce e tentativi disperati di non affogare. Allo stesso modo anche Sandro Costa, prima ipotetico amico e poi strozzino e ricattatore di Claudio, subisce e vive una parabola degradante, che lo porta a rompere i rapporti con il padre, fonte di guadagno e origine del suo status sociale, per approdare al mondo della criminalità. Protagonista ed antagonista sono uniti dalla medesima incapacità di stare al mondo e di controllare gli eventi, facendosene pian piano travolgere, nella speranza mal riposta di aderire a un sogno di gloria che non potranno mai davvero possedere.
Il film si struttura su un doppio binario logico e narrativo: da una parte la contrapposizione manichea fra concetti antitetici come, ad esempio, il successo (la serie A e l’imprenditoria) e il fallimento, la lotta fra protagonista e antagonista, i simboli dell’affermazione privata (la fama osannante dei tifosi, le gite in barca simbolo di una dolce vita dorata e lussuosa) e l’abominio morale (incarnato dal crimine, dalla violenza e dal ricatto); dall’altra la trama procede lungo una linea retta che racconta la progressiva caduta e il fallimento di tutti i personaggi, tanto del capitano Claudio quanto del suo aguzzino Sandro. In particolare, il lungometraggio si sofferma sul primo dei due, vero centro della narrazione oltre che delle scelte relative alla messa in scena: onnipresente in ogni scena del film, viene costantemente pedinato dalla macchina da presa. Borghini firma una regia che si sviluppa in simbiosi con il bravissimo Giulio Beranek, inizialmente facendo ricorso a campi totali e medi, così da esprimere la sua appartenenza alla realtà sociale di cui fa orgogliosamente parte grazie al suo ruolo di capitano, per poi lentamente sottolineare la precarietà della situazione in cui si viene a trovare e il dramma che è costretto a vivere facendo ricorso soprattutto a primi e primissimi piani, che diventano più lunghi e insistiti man mano che la trama procede. Anche la mobilità della macchina da presa conosce un progressivo sviluppo, parallelo alla storia raccontata e finalizzato a sostenerne il significato: da inquadrature brevi e statiche, il regista sceglie sempre più spesso di fare ricorso a primi piani di maggior durata e realizzati con la macchina a mano, frementi e traballanti come la psiche angosciata del protagonista. Inoltre, le scelte recitative di Beranek si armonizzano ottimamente alla messa in scena: all’inizio del film mostra la soddisfazione e la baldanzosità del suo personaggio lavorando soprattutto con la postura e con il linguaggio del corpo; invece, man mano che il dramma prosegue e che la telecamera restinge il proprio sguardo, l’attore sceglie di concentrare la propria interpretazione nelle espressioni facciali, restituendoci l’immagine di un uomo attanagliato da un dolore sordo e senza speranza.
Borghini firma un lungometraggio interessante ma non esente da difetti che si concentrano in particolare nelle scelte di sceneggiatura. Le contrapposizioni manichee di cui si è parlato poco sopra sono una soluzione semplicistica finalizzata a rappresentare in modo insufficiente delle problematiche ben più ampie. Inoltre, il protagonista, sulla cui figura è costruito l’intero film, è in realtà l’unico personaggio ben scritto, mentre gli altri sono pure macchiette senza spessore e senza una vera evoluzione caratteriale. Infine, troppi sono i buchi presenti nella trama: perché il capitano, dopo aver avuto un ruolo fondamentale nella promozione in serie B della propria squadra, viene cacciato? Perché è licenziato e non venduto? Come è possibile che, dopo essere stato picchiato, non chieda un prestito ai genitori della moglie o ad altri? Perché Sandro decide di diventare una sorta di mafioso verso la metà del lungometraggio, senza il minimo cenno precedente relativo a suoi presunti collegamenti con la criminalità? Questi sono solo alcuni degli interrogativi che sovvengono allo spettatore durante la visione e che restano purtroppo senza risposta, minando la piacevolezza e la credibilità della visione.
"Doppio passo" è quindi un interessante opera prima: pur caratterizzato da una sceneggiatura claudicante, si segnala per la convincente interpretazione del protagonista e per le scelte registiche essenziali e asciutte, oltre che intelligentemente incentrate su un personaggio profondo e appassionante.
cast:
Giordano De Plano, Valeria Bilello, Lorenzo Adorni, Giulio Beranek
regia:
Lorenzo Borghini
distribuzione:
Garden Film
durata:
92'
produzione:
Garden Film, Solaria Film, Nebel Productions
sceneggiatura:
Lorenzo Borghini, Cosimo Calamini
fotografia:
Tommaso Alvisi
scenografie:
Celeste Gonnella
montaggio:
Theo Putzu
costumi:
Giulia Di Renzo