Ricercatissimo (bisognava dare uno sguardo all'estero per trovarlo), quasi unanimemente amato (di quegli amori che diventano piccole venerazioni private), "Donnie Darko" esce finalmente, con ritardo imperdonabile, nelle sale italiane. Distribuito fin da subito un po' in tutto il mondo, il film americano (del quale riferimmo in occasione della sua proiezione al Torino Film Festival 2001) è divenuto, ne fummo facili profeti, un vero e proprio oggetto di culto. Richard Kelly ha solo 26 anni quando "Donnie Darko" viene proiettato nelle sale statunitensi, ma in quest'opera dimostra una maturità di scrittura e di sguardo che lascia ammirati. Il suo è stato un film sudato, trovare i soldi per produrlo non è stato facile, ma l'intervento di Drew Barrymore (tra le interpreti) ha fatto aprire le porte giuste e ha consentito di aggiungere alla squadra altri attori di nome (Patrick Swayze, Mary Mc Donnell).
Senza un attimo di cedimento, "Donnie Darko" mescola generi (il teenager movie, il mistery, la commedia di costume) senza pesantezze teoriche, rimanendo sempre spigliato e intelligente, mai sopra le righe, mai facilone, anzi: lo spaccato della provincia americana che lascia emergere è sorprendentemente preciso, la descrizione dell'adolescenza consapevole e sensibile del suo protagonista ha toni delicati, a volte amari. L'anima nera (...dark) di Donnie si riflette all'improvviso come parte di un sistema sovraordinato, nel quale il giovane si accorge di muoversi e di cui si sforza di comprendere le regole: è proprio questo elemento irreale, via via più inquietante, a fare la differenza con le tante produzioni giovanilistiche cui siamo abituati; non siamo, peraltro, dalle parti di Harvey, anche se l'apparizione del coniglio lo fa pensare inevitabilmente; il regista usa con finezza citazioni e filoni per arrivare a operare in un ibrido nel quale si districa con maturità e lucidità impressionanti: realtà parallele si incrociano per un attimo e si distanziano di nuovo, fanno capolino dimensioni temporali alternative, possibilità (anche narratologiche) si propongono senza svelarsi come tali, se non nell'enigmatico finale.
La chiave dell'intricata faccenda può essere nel fantomatico volume di Grandma Death, ma anche nella schizofrenia del giovane, istigata dalla mal tollerata insensatezza di un mondo adulto, crudele e incomprensibile, fatto di apparenze e convenzioni: l'autore si guarda bene dal fornire allo spettatore chiavi di lettura privilegiate mentre l'agnizione sul significato del fantomatico coniglio ci colpisce all'improvviso e fa decisamente centro. Quando alcuni nodi vengono al pettine (altri, sottilissimi, passano attraverso i suoi denti e si perdono per sempre), si ha la sensazione di essere di fronte a un film coraggioso e originale che, mischiando le sue carte con grande disinvoltura, non cerca di lanciarti addosso la sua particolarità lasciandoti attonito: un dolce, lacerato smarrimento, questo di "Donnie Darko", che finalmente si offre anche alla platea italiana.
06/06/2008