Parigi, inizio degli anni ’60. Jean-Louis (Fabrice Luchini) è un agiato agente di borsa diviso tra gli smorti completi giacca&cravatta sul lavoro e le funeree vestaglie dei suoi riti casalinghi.
La moglie Suzanne (Sandrine Kiberlain), spigolosa ma fragile donna di provincia, si divide invece tra il bridge, la parrucchiera e lo shopping.
I figli, due, sono in collegio con la speranza di avviarli alla carriera paterna anche se il minore ha come sogno la specializzazione in ginecologia «per guardare tutto il giorno tra le gambe delle donne».
Il tranquillo e rassicurante tran-tran quotidiano si incrina con l’arrivo della nuova cameriera, Maria (Natalia Verbeke), giovane e bella spagnola, seria e irreprensibile cui è concesso l’uso della “chambre de bonne”, quella sorta di piccionaia coi tetti bassi (oggi si chiama “mansarda” e fa anche trendy) dell’ultimo piano, coi servizi in comune.
Qui Maria si ricompone a un mondo complesso, vitale e allegro, costituito dal gruppo di “femmes de chambre” spagnole che lavorano nel palazzo, e che cozza, irresistibile, con l’austera apatia dell’alta borghesia parigina.
I due mondi sembrerebbero strutturati per non incontrarsi mai, Jean-Louis però…
Bella commedia della “consapevolezza” a opera di Philippe Le Guay che romanza la sua stessa biografia regalandoci come alter-ego il bravissimo Fabrice Luchini che si aggira per tutto il film quasi assente e sognante e poi, improvvisamente, con un cambio di espressione repentino, ha la sua “epifania” e capisce di aver sbagliato tutto. Per poi ricominciare.
Dopo l’ottima prova, solo un po’ sopra le righe, di "Potiche" (F. Ozon, 2010), l’attore francese riprende quegli stessi panni che gli sono congegnali, capaci di passare dal sonno alla veglia in un istante e mettere alla berlina un perbenismo borghese vuoto e vittoriano.
La commedia francese, quando è al meglio di sé, ha la capacità di non scadere né nello scontato “equivoco” né nello “scollacciato” o “pecoreccio”, aggettivi che spesso si accompagnano a quelle nostrane.
In effetti l’equivoco c’è ma è marginale e fa quasi da piccolo contrappunto alla storia; c’è anche un nudo e di quelli peggiori, volendo: dalla porta del bagno dove la splendida Maria mette in evidenza le sue grazie, più le splendide spalle che altro, però.
D’altra parte le intenzioni del regista sono state di rifarsi alla grande tradizione teatrale di Marivaux e Moliere, ripresa da Sacha Guitry e Jean Renoir. Noi del Belpaese a questo punto potremmo commentare «Esticazzi» conquistando una rapida risata ma perdendo il filo del racconto.
Storia consigliata agli amanti dei contrasti: la Spagna che emigra a causa della grave crisi economica di quegli anni e la Francia gollista che legge “Le Figaro”; i tetri appartamenti signorili e il bucato multicolore steso su tutto il sesto piano; il “rigor mortis” delle madame parigine e il franco sorriso delle cameriere spagnole.
La storia e la fotografia del film si muovono infatti per opposizioni, fosco o luminoso, grigio o solare, interno o esterno, educato o coraggioso… finché, opposizione dopo opposizione, ciascuno riprende in mano il proprio destino.
cast:
Carmen Maura, Natalia Verbeke, Sandrine Kiberlain, Fabrice Luchini
regia:
Philippe Le Guay
titolo originale:
Les femmes du 6ème ètage
distribuzione:
Archibald Enterprise Film
durata:
106'
produzione:
Philippe Rousselet - Etienne Comar
sceneggiatura:
Philippe Le Guay - Jérôme Tonnerre -
fotografia:
Jean-Claude Larrieu
scenografie:
Pierre-François Limbosch
montaggio:
Monica Coleman
costumi:
Christian Gasc
musiche:
Jorge Arriagada