My computer thinks I'm gay
What's the difference anyway
When all the people do all day
Is stare into a phone
Placebo - Too many friends
Storie statunitensi si intrecciano in un turbinare di messaggi su chat, foto scambiate, siti visitati credendo che nessuno lo verrà mai a sapere, falsi profili. La vita ai tempi del
panopticon, con qualche stereotipo ma una tensione che non lascia indifferenti.
Cosa ci spinge ad esporci completamente, ad entrare spontaneamente nella prigione perfetta, quella in cui tutto è visibile a tutti tutto il tempo? La ricerca di sesso, la noia, l'illusione di essere ascoltati? Il punto forte di "Disconnect" è che se la prima impressione è di un tentativo di mettere tutto internet in un unico film, dai forum sugli argomenti più improbabili ai social network al poker online, presto ci si rende conto che non si è alieni a nessuna delle pratiche del film (con la possibile eccezione di masturbarsi davanti a una webcam per denaro). "Disconnect" tratta in fondo di una serie di drammi intrecciati le cui ragioni affondano più in profondità del mezzo tecnologico attraverso il quale si realizzano: le relazioni padre-figlio, la morte, il successo e la disperazione, e sopra ogni altra cosa il mistero di come riuscire a relazionarsi con gli altri esseri umani. Solo che se questi drammi avvengono nel 2012 negli Stati Uniti inevitabilmente prenderanno una forma data in larga misura dai mezzi di comunicazione a disposizione.
Non siamo all'interno della limousine di "
Cosmopolis" o nella famiglia del detective di "
Suicide Club", l'alienazione tecnologica è stata raccontata con più genio prima, senza ricorrere a trucchi come la scena con la musica che collega tutti i personaggi nel prefinale, gli archi e il ralenti. Ma non si può negare che Henry Alex Rubin, qui al primo lungometraggio narrativo, abbia mano: riesce a estrarre verità da tutti i personaggi, da tutto il cast, e senza inutili virtuosismi ti tiene in allerta con scelte di regia non banali (vedi l'uso delle soggettive, o delle immagini mediche, la bella colonna sonora etc). Difficile non rimanere col fiato sospeso nell'ultima mezz'ora, non sobbalzare nei momenti dei rari contatti fisici tra i personaggi, o anche solo quando una madre prende una coperta per il figlio, ricordandoci che non di sole parole e immagini siamo fatti ma di carne e sangue. "Disconnect" riesce a scorrere in maniera avvincente senza rinunciare ad avere spessore, senza ricorrere ad eccessive semplificazioni o svolte improbabili. Volendo riassumere a tutti costi, la risposta che il film dà alla domanda posta all'inizio della recensione potrebbe essere: ci esponiamo perché non ci piace quello che siamo, e creiamo dei personaggi fittizi in un gioco di ruolo incessante. Ma ignoriamo quanto le maschere possano dire di noi, quanto possano essere un accesso alla nostra realtà più intima. Non a caso una delle conversazioni più belle e sincere del film avviene via chat tra due persone che utilizzano entrambi profili che non gli appartengono, e si conclude con una scheggia di verità destinata ad avere molte conseguenze.
Non sappiamo se nei prossimi film Rubin si concederà più libertà e metterà le sue doti al servizio di un'opera più graffiante, o si limiterà a dirigere thriller interessanti, ma sicuramente "Disconnect" è un buon film con cui inaugurare la stagione.
11/01/2014