Nella loro ventennale carriera, i fratelli Coen hanno dimostrato di possedere una grande conoscenza del cinema classico americano, reinterpretandolo spesso in epoca moderna. Di tutte le citazioni ai maestri del passato presenti nelle loro opere, ce n'è una ben nascosta, che solo i cinefili con una buona memoria sono in grado di cogliere, racchiusa nel titolo di "O Brother, Where Art Thou?" ("Fratello, dove sei?"), lo stesso del film che John Lloyd Sullivan, il regista protagonista de "I dimenticati" di Preston Sturges, intende girare.
Primi anni 40. La Seconda Guerra Mondiale è in pieno svolgimento. I segni della Grande Depressione americana sono ancora visibili sulle classi più basse della popolazione. Nelle intenzioni di Sullivan, stufo di girare solo commedie e musical in tempi difficili per i suoi spettatori, il suo nuovo film dovrà essere "Un commento sulla condizione moderna, sui problemi che affliggono l'uomo medio. Crudo realismo. Un documento. Uno specchio sulla vita. Un film sulla dignità!". Il problema è che Sullivan è un borghese che non sa niente dell'uomo medio, e per documentarsi sulle abitudini della popolazione, decide di intraprendere un insolito viaggio nel cuore della depressione americana camuffato tra le fasce basse, cercando di seminare un furgone dello studio cinematografico che ne segue gli spostamenti col doppio scopo di documentare l'epica impresa e di provvedere ad ogni sua eventuale necessità. "Sullivan's Travels" (I viaggi di Sullivan), titolo originale, richiama i viaggi di Gulliver, con i Lillipuziani trasfigurati nei personaggi dimenticati dal cinema.
La scarsa diffusione dei film di Preston Sturges in Italia, dapprima ostacolata dal secondo conflitto mondiale, non è mai stata davvero all'altezza della qualità delle sue opere. Sceneggiatore - uno dei migliori dialoghisti della storia del cinema americano -, oltre che regista, risulta difficile da collocare in una categoria specifica di autori, avendo posseduto uno stile unico ed inimitabile, una ricetta che mischia la commedia americana sofisticata di Lubitsch e Capra, che fece la fortuna degli Studios negli anni '30, con la Screwball Comedy dei dialoghi velocissimi e dell'eterno conflitto tra uomo e donna e con la farsa scatenata e irriverente dei fratelli Marx, aggiungendo elementi di realismo, come quelli ricercati da Sullivan. I film che Sturges ci ha lasciato sono in totale dodici, e i migliori prendono di mira in chiave satirica un diverso aspetto della società americana e della stessa Hollywood. Rintracciamo la corruzione e l'incoscienza della politica ne "Il grande McGinty" e "Evviva l'eroe conquistatore", l'avidità della donna in "Lady Eva", la classica screwball in "Ritrovarsi", il piccolo borgo e le sue contraddizioni ne "Il miracolo del villaggio". Solo Billy Wilder, nella sua lunga e brillante carriera che comprende alcune delle migliori commedie della storia del cinema, è riuscito a replicare certi toni tipici del cinema di Sturges.
La breve carriera di Sturges, durata solo un decennio, finita piuttosto male in Francia nei primi anni 50, lo ha contraddistinto come un regista avanti rispetto ai suoi tempi. "I dimenticati", la sua opera più personale, contiene due film in uno. Ci sono infatti il film che vuole girare Sturges, un film sul cinema, una commedia con elementi drammatici e di commento sociale, e il film che vuole girare l'ambiziosissimo Sullivan. L'apparente conflitto tra un cinema d'intrattenimento atto a strappare una risata anche allo spettatore più disattento e un cinema che ha qualcosa di importante da trasmettere appartiene allo stesso Sturges, che parte da un genere codificato e di successo per esplorare le potenzialità del cinema quale arte in grado di penetrare nelle coscienze. La particolarità de "I dimenticati" è che, nella sua intera durata, circa 90 minuti, attraversa diversi generi: incontriamo la tragedia, la farsa, il documentario, il road movie, la commedia, la slapstick, la screwball, il film carcerario, il film d'azione, il film romantico e il film d'avventura, una miscela destinata ad esplodere.
Nell'era delle grandi star, a Joel McCrea, interprete del protagonista e attore ricorrente nel cinema di Sturges, viene affiancata Veronica Lake, che presta anche il suo volto alla campagna pubblicitaria, pur non interpretando il personaggio principale della pellicola. Veste i panni di un'attricetta disillusa, del cui nome non veniamo mai a conoscenza, che accompagna Sullivan nella seconda parte del viaggio. Il rapporto tra lei e il regista è conflittuale, come richiesto dalle regole della commedia di quegli anni, pieno di tensione sessuale, e ispira dialoghi di assoluto livello, come un monologo di Sullivan sul furgone rivolto a denudare le contraddizioni dell'industria hollywoodiana. La ragazza si innamora di lui, ma scopre ben presto che è sposato per convenienza economica con una donna che non ama.
Ogni volta che si trovano nei guai, riescono a cavarsela, trovando rifugio nel furgone dello Studio o ritornando nella lussuosa mansione con piscina di Sullivan. È come se il loro viaggio, iniziato con i migliori auspici e le più gloriose intenzioni, fosse un gioco che possono ricominciare da capo ogni volta che perdono. Sullivan trova quello che cerca solo quando si separa da lei, e da solo è costretto ad affrontare dei guai più grossi di lui, a cui non è decisamente abituato. Lì inizia la parte veramente dura non solo delle sue ricerche, ma anche del film che sta girando Sturges, che improvvisamente cambia di tono. Condannato ai lavori forzati dopo aver aggredito una guardia ferroviara, Sullivan scopre durante una serata al cinematografo, in una meravigliosa scena che alterna con una serie di campi e controcampi lo schermo su cui viene proiettato un cartone animato della Disney con i volti dei reietti deformati dalle risate, che l'intrattenimento più puro, naturale, è in grado di sollevare le masse più di un film serio, incentrato direttamente sui problemi della società. Liberatosi dai guai grazie ad un astuto stratagemma e all'aiuto della ragazza, Sullivan prende la decisione finale: il suo viaggio gli ha insegnato che, da quel momento in poi, girerà solo commedie.
La grande abilità del film di Sturges, che lo rende un capolavoro della storia del cinema, è la capacità di riflettere il messaggio del film nella sua forma. Nel corso dell'opera, si avverte il desiderio non solo di Sullivan, ma anche dello stesso Sturges di dire qualcosa al pubblico, di esprimere una propria idea non solo sulla società americana, ma anche sul cinema. Questo sforzo è bilanciato da scene che richiamano risate facili da parte degli spettatori, come un inseguimento sfrenato a bordo di una sidecar o un tuffo forzato collettivo nella piscina di Sullivan. Sturges sta chiaramente girando una commedia, e "I dimenticati" si può considerare una pietra miliare del cinema di genere, ma, come tutto il cinema di Sturges, è un film sull'eterno conflitto interno ad ogni artista ed artigiano della settima arte tra il desiderio di dire qualcosa, di lasciare un proprio segno nella storia e di colpire gli spettatori, e la necessità di mostrarla, senza ulteriori commenti. Sullivan alla fine del film apprende qualcosa che Sturges già sapeva, ma di cui forse si è reso definitivamente conto solo girando "I dimenticati", un film non solo sul cinema, ma soprattutto, sulla necessità del cinema.
cast:
Robert Warwick, William Demarest, Eric Blore, Veronica Lake, Joel McCrea
regia:
Preston Sturges
titolo originale:
Sullivan's Travels
distribuzione:
Paramount Pictures
durata:
90'
produzione:
Paramount Pictures
sceneggiatura:
Preston Sturges
fotografia:
John Seitz
scenografie:
Ray Moyer
montaggio:
Stuart Gilmore
costumi:
Edith Head
musiche:
Sigmund Krumgold