Dal 1908 il cinema porta su grande schermo il "Canto di Natale" in ogni possibile variante, ma è difficile trovare film che si siano occupati della vita di Charles Dickens.
L'infanzia dello scrittore potrebbe apparire la bozza di uno dei suoi romanzi. A dodici anni, abbandonato a se stesso, fu costretto a lavorare per mesi in una fabbrica di lucido da scarpe, dopo la condanna del padre per debiti e la carcerazione del resto della famiglia. Visse sulla pelle condizioni fisiche, emotive e sociali che poi riversò nella stesura di opere che gli valsero fama immediata e imperitura.
Da qui, dalla fama, comincia "L'uomo che inventò il Natale", biopic fantasioso tratto da un saggio di Les Standiford e messo in piedi da professionisti più che altro televisivi, Bharat Nalluri e la sceneggiatrice Susan Coyne. Dickens in tour negli Stati Uniti, accolto trionfalmente come una superstar dopo la pubblicazione di "Oliver Twist", si presenta nelle vesti di inglesissimo uomo di successo, inorridito dagli schiamazzi americani tanto da non vedere l'ora di tornare a casa.
Rimpatriato lo aspettano tre anni di flop letterari, tasche vuote e blocco dello scrittore. Per non perdere la fiducia degli editori, accetta la sfida di scrivere un nuovo romanzo in sei settimane, così da farlo uscire entro Natale. Il Natale nel 1843 non è quello che Dickens (secondo la tesi di Standiford, Nalluri, Coyne) e la Coca-Cola ci hanno insegnato a celebrare nell'acquiescenza laica ed economica dell'esplosione di immaginario commerciale che determina ogni anno le festività dicembrine. È piuttosto una baggianata, per dirla alla Scrooge, che trascorre nell'indifferenza di tutti. Il Dickens in questione, interpretato da un Dan Stevens votato al clownesco, si incarica di ri-moralizzarlo attraverso la creazione di un testo capace di evocare nei cuori lo spirito di solidarietà e unione (famigliare) che in lui per primo sembra sfumare nel prosieguo del film. Più interagisce con i personaggi del "Canto di Natale", ispirati alla realtà londinese e materializzati al suo fianco come persone in carne e ossa, più si allontana dall'affetto dei suoi cari, intrattabile, chiuso ermeticamente nell'atto creativo e nell'onta di un passato che si riaffaccia in forma di trauma irresolubile.
Molto materiale da elaborare, in potenza. Serio e meno serio. Il rapporto difficile con un padre disposto a frugare nella spazzatura pur di trovare stralci di fogli vergati dalla mano del figlio celebre per rivenderseli e guadagnare qualche soldo. Il mestiere di scrivere, sempre problematico, specie difronte a una quotidianità sociale. Il Regno Unito di metà ottocento, le contraddizioni della rivoluzione industriale. "L'uomo che inventò il Natale" affronta la mole senza troppi dubbi in merito all'atteggiamento con cui porsi, eludendone sia uno da commedia brillante sia uno da dramma biografico, affidandosi a un candore da vecchia innocua storia natalizia per ragazzi, dove le battute non graffiano, le disgrazie non commuovono, l'oscurità non impaurisce e alla fine tutti, raccolti intorno all'abete addobbato, si accorgono di quanto sia bello essere altruisti e caritatevoli. Almeno una volta l'anno.
Cinismo spietato? Tirate le somme è da convalidare una generica riuscita, intesa come totale rispondenza alle intenzioni degli autori. Le linee narrative parallele - la vita di Dickens, la trama del "Canto di Natale" - incedono a media velocità prive di spessore verso l'apologo, e comunque non sbandano mai. Sulla carta un pregio, sul piano funzionale un nodo consistente. C'è un programma rispettato appieno ma nel nitore di obiettivi e strumenti si sorvolano alcuni spunti che avrebbero dato occasione di sondare il tema autore-opera aprendosi a diverse profondità. O che avrebbero potuto svilupparsi in qualcosa di acuto e vivace senza dipendere dai toni cartoon e dalla prevedibilità delle gag, affinché il racconto magico filasse liscio e il messaggio di speranza giungesse chiaro. (Ma a chi?)
Nalluri non si colloca in una mezza via. Ne intraprende una dritta, sicura, senile, facendo a meno dell'armamentario di astuzie autoriflessive e strizzatine d'occhio all'attualità e al politicamente scorretto di cui il cinema per ragazzi si serve oggigiorno per accattivarsi un'attenzione estremamente affievolitasi (e smaliziatasi) nel giro di pochissimo. Ciò gli va riconosciuto, una sorta di ingenua qualità etica. Che però è l'unico baricentro del film, ed è anche la causa per la quale "L'uomo che inventò il Natale", stando fuori dal presente e non misurandosi con nulla di disturbante né di esilarante (quindi con nulla in grado di scatenare la perdita di controllo, la deviazione), produce un divario, rompe una relazione fondamentale: tanto esprime con spontaneità la propria natura di favola incontaminata, quanto ciecamente ignora di non avere (più) un pubblico.
cast:
Dan Stevens, Christopher Plummer, Simon Callow, Morfydd Clark, Jonathan Pryce
regia:
Bharat Nalluri
titolo originale:
The Man Who Invented Christmas
distribuzione:
Notorious Pictures
durata:
104'
produzione:
Niv Fichman, Vadim Jean, Robert Mickelson, Susan Mullen, Ian Sharples
sceneggiatura:
Susan Coyne
fotografia:
Ben Smithard
scenografie:
Paki Smith
montaggio:
Stephen O'Connell, Jamie Pearson
costumi:
Leonie Prendergast
musiche:
Mychael Danna