All'inizio di "Diamantino – Il calciatore più forte del mondo" si viene informati che nessuno dei personaggi presenti nel film è ispirato a persone reali. Prendiamo ovviamente atto di questa dichiarazione da parte degli autori, ma se si pensa che il protagonista è un supercampione portoghese metrosexual, acclamato, ricchissimo e amante del lusso, non serve una grande immaginazione per ipotizzare che la coppia di registi formata dal portoghese Gabriel Abrantes e dall'americano Daniel Schmidt (già autori di "Palàcios de Pena", presentato a Venezia Orizzonti nel 2011, e molto attivi nel campo del cortometraggio) si possa essere ispirata ad una celebrità autentica dell'universo calcistico. Accolto molto bene alla settimana della critica cannense del 2018, "Diamantino" esce adesso nelle nostre sale grazie a I Wonders, alla quale va riconosciuto un certo coraggio nel proporre al pubblico un film così stravagante. Non è dato sapere quanto il fatto che gli italiani siano una nazione così "calciofila" abbia influenzato la decisione, ma sorprende comunque positivamente la scelta.
Piuttosto sui generis come commedia, "Diamantino" in effetti difficilmente potrebbe essere considerato una biopic, anche in forma mascherata. Questo perché Abrantes e Schmidt sembrano tutto sommato poco interessati alle ritualità legate al pallone e nel film non si parla mai di allenamenti, squadre, commissari tecnici. Sul campo il campionissimo Diamantino è praticamente sempre solo, in compagnia di un esercito di adorabili pechinesi giganti (definiti morbidi cucciolotti) che in una nuvola rosa scorrazzano insieme a lui e lo aiutano a mettere a segno l’immancabile goal (il film è concepito in una chiave assolutamente surreale). Diamantino (impersonato con una perfetta combinazione di muscoli e candore Carloto Cotta, interprete di vari film di Miguel Gomes), è un idolo delle folle ma è concepito come una figura molto infantile, lontanissima da quel machismo cui il mondo del calcio sembra non poter fare a meno (si definisce bisessuale ma non ha mai fatto sesso né sente il bisogno di farlo e si dichiara, decisamente non a torto, una persona solitaria). Facciamo la conoscenza di Diamantino alla vigilia di un appuntamento importantissimo: la finale dei mondiali. Proprio in quell'occasione qualcosa non va: il campione perde il suo tocco magico. In un film più realistico si potrebbe dare la colpa alla troppa tensione, ma in questo caso a distogliere la sua concentrazione è stato il pensiero fisso all’incontro accidentale, durante una tranquilla giornata sullo yacht, con alcuni profughi su un gommone alla deriva. La sofferenza di queste persone colpisce il campione, rappresentato come un giovanottone per niente colto, sveglio o attento all'attualità ma dalla straordinaria empatia di un bambino. La più evidente reazione a quella che lui definisce un’epifania è la perdita del suo tocco magico, che oltre a fare sfumare la vittoria ai mondiali gli procura il dileggio sul web (le immagini del campione disperato diventano dei meme popolarissimi). Ad accentuare la crisi si aggiunga l'improvvisa dipartita dell'amorevole padre-manager sostituito dalle sue a dir poco odiosissime sorelle gemelle (incarnazioni del più bieco e rapace del capitalismo finanziario). Il protagonista reagisce comunque in maniera propositiva: adotterà un profugo, assicurandogli un domani migliore, decisione che manda in bestia le sorelle approfittatrici, ma che viene colta al balzo della poliziotta Aisha (Cleo Tavares) che sta indagando su alcuni presunti conti off shore del campione (dei quali lui ovviamente è inconsapevole) e che decide di fingersi ragazzo per andare a vivere con Diamantino (la sospensione dell'incredulità è assolutamente necessaria quando si vede questo film). A rendere ulteriormente complicato il quadro ci pensano una ministra sovranista e una dottoressa decisa a clonare il campione in crisi che tra spot filonazionalisti e impreviste “transizioni” se la vedrebbe davvero brutta non fosse per la prodiga Aisha che nel frattempo ha capito di amare il suo “padre adottivo”, con grande dolore della di lei fidanzata nonché collega Silvia.
Abrantes e Schmidt mettono all'indice una società neoconservatrice, machista e in chiusura, alla quale se ne deve contrapporre un’altra fatta di buoni sentimenti ed empatia, nella quale anche l'androginia e l'ermafroditismo sono bene accetti. Come in tanti film a carattere sportivo, anche la parabola di Diamantino prevede un epilogo risolutivo, solo che stavolta non vediamo il campione riprendersi il proprio trono nel mondo dello sport (ci sarà però un ultimo incontro con gli amati cucciolotti) ma indubbiamente avrà acquistato una maggiore consapevolezza di sé e del mondo che lo circonda. Si diventa grandi e non si gioca più...sì, decisamente un messaggio che non sarà condiviso da chi ama andare allo stadio. Grazie alla direzione artistica di Cypress Cook e Bruno Duarte e alla (anche troppo) sgranata fotografia di Charles Ackley Anderson, Abrantes e Schmidt ci regalano un colorito apologo pop e camp che sicuramente è animato da valori positivi. Peccato che il percorso cui lo spettatore è chiamato ad assistere alla fine si riveli abbastanza faticoso anche per le azzardate simbologie messe in scena.
cast:
Carloto Cotta, Cleo Tavares, Anabela Moreira, Margarida Moreira, Carla Maciel, Chico Chapas, Maria Leite, Joana Barrios
regia:
Daniel Schmidt, Gabriel Abrantes
titolo originale:
Diamantino
distribuzione:
I Wonders
durata:
96'
produzione:
Maria & Mayer
sceneggiatura:
Gabriel Abrantes, Daniel Schmidt
fotografia:
Charles Ackley Anderson
scenografie:
Bruno Duarte, Cypress Cook
montaggio:
Gabriel Abrantes, Raphaëlle Martin-Holger, Daniel Schmidt
costumi:
Bruno Duarte, Cypress Cook
musiche:
Adriana Holtz, Ulysse Klotz