Nel 17° secolo Diego Alatriste, soldato dall'animo nobile impegnato a difendere la Spagna al crocevia con le Fiandre in una sanguinosa battaglia contro i fiamminghi, viene coinvolto suo malgrado in un tutoraggio a favore del figlio di un compagno d'armi morto in battaglia. Al ritorno in Spagna troverà una situazione ambigua. Il suo re, al quale comunque è sempre rimasto fedele, si è fatto trascinare in intrighi e doppi giochi, dietro i quali l'Inquisizione si nasconde e manipola. La situazione precipiterà quando il soldato verrà coinvolto in una cospirazione ai danni di alcuni nobili inglesi.
L'atmosfera epica Viggo Mortensen se l'era portata da casa, dopo Aragorn non è bastato "A History of Violence", per macchiarne l'immacolata figura, e senz'altro il personaggio è molto ben riuscito, ma non è abbastanza per tenere su un pretenzioso filmone che supera le due ore, senza alcuna vera necessità. Le battaglie, sia pure belle, sono comunque inutilmente caotiche, manco gli orchi di Jackson facevano così tanto per confondere lo spettatore, e gli intrighi hanno la complicazione di trama che ci si aspetta da una
fiction, come pure i verbosissimi dialoghi.
Ma in tutta onestà, non so se il problema sia l'eccessiva lunghezza, la trama intricata o le battaglie interminabili, quelle c'erano già nella trilogia del "Signore degli Anelli", ma là nessuno si è mai messo a guardare l'orologio. Forse il punto è che la regia non sembra presa dalla stessa foga del protagonista, o che la fotografia sembra aver qualche problema di filtraggi. O magari il problema potrebbe essere l'uso un po' eccessivo di stereotipi, Viggo come cavaliere senza macchia e con poca paura funziona senz'altro, ma i cattivi sono assai cattivi, forse ai limiti della caricatura, peccato che non ci sia traccia di umorismo alcuno in tutte le due ore e passa del film. Vogliamo poi parlare dell'Inquisizione così tanto impegnata a tessere trame che al confronto i giochetti di Filippo il Bello ai danni dei templari sembreranno un gioco da ragazzi?
Il fatto che sia tratto da una storia di Arturo Pérez-Reverte dovrebbe esser di per sé garanzia di buon materiale letterario di base, anche se abbiamo un precedente illustre di caotica trasposizione da Pérez-Reverte, il confuso la "Nona Porta" del comunque geniale Polansky. Ma qua non c'è nessun grande regista a portarci a spasso in una trama intricata, solo un modesto artigiano che dovrebbe rivolgersi ad uno sceneggiatore professionista, e di quelli bravi.
28/06/2008