Le presenza di tre politici di fama quali Ronald Reegan, George Bush Sr. e Michail Gorbačëv, sorridenti e festanti su uno dei tanti poster del festival che campeggiano nelle vetrine dei negozi la dice lunga sull'intenzione degli organizzatori di non abdicare alla funzione critica del cinema nei confronti del reale. Ed è proprio questa forte immanenza sui fatti del presente a consigliare ai selezionatori un inizio di rassegna più soft, quasi a voler compensare con un overdose di buoni sentimenti l'ondata di temi caldi e il clima da tragedia preannunciati dalle trame dei titoli presenti fuori e dentro il concorso. D'altronde tra le sezione del festival quella della Piazza Grande è da sempre rivolta a un pubblico meno cinefilo e più popolare in fatto di gusti cinematografici, come peraltro dimostra l'attesa di un titolo come "Atomic Blonde", punta di diamante tra quelli previsti nel cartellone di quest'anno . Raccontando le vicissitudine di Mathilde, la piccola protagonista coinvolta suo malgrado nella separazione dei genitori e scontata attraverso le fragilità psicologiche della tormentata madre che non riesce ad occuparsi di lei, "Demain e tous le âtres jours" si piazza in ogni caso nel solco di una tradizione - quella dei vari Jean Vigò e Francois Truffaut - che più di altre ha saputo raccontare l'infanzia con la dignità e l'importanza dovute a una delle fasi più importanti dell'esistenza umana. Da questo punto di vista il film di Noemie Lvovsky rispetta il copione, presentandoci una ragazzina tanto gentile quanto consapevole di doversela cavare con le proprie forze rispetto a un destino che a le ha riservato l'ingrato compito di prendersi cura dei propri genitori, e, in particolare, della madre (interpretata dalla stessa Lvovsky), sempre sul punto di trasformare il proprio disagio in una insanabile follia. Nelle mani della Lvovsky la "missione" di Mathilde si trasforma in una sorta di fiaba contemporanea nella quale gli ostacoli del quotidiano vengono ogni volta superati dal potere della fantasia, utilizzata dalla bambina per sopportare gli smacchi di un destino avverso. In un simile contesto, più che gli scombinati genitori (azzeccata in questo caso la scelta di Mathieu Amalric nella parte del padre) a farla da padrone nel corso della "favola" sono, da una parte, la civetta parlante regalatale dalla madre, a cui spetta il ruolo di vera e propria di guida spirituale, chiamata a supplire alle assenze degli adulti, distratti e problematici, dall'altra, i sogni con cui Mathilde trasfigura la propria vicenda e che, nella parte di una damigella in pericolo, la vedono prigioniera di un mondo incantato e misterioso.
Habitué del festival, per avervi partecipato in veste di giurata, attrice e ovviamente regista, la Lvovsky offre allo spettatore una direzione che sapendo di poter contare sull'energia della portentosa Luce Rodriguez - la quale, nonostante la giovane età si cimenta in un'interpretazione molto fisica, in cui i dialoghi sono spesso inframmezzati da un dinamismo che si traduce in corse a perdifiato - non perde occasione per affermare la genesi autoriale del suo progetto, soprattutto quando si tratta di ammantare le sequenze oniriche con ascendenze pittoriche (e, per esempio, John Everett Millais citato nel celebre dipinto di "Ophelia") e letterarie. La combinazione però non è sempre funzionale alla causa perché se è vero che l'eterogeneità del trattamento serve a rendere lo scarto tra i diversi piani del racconto, rimane il fatto che certi passaggi sono appesantiti da soluzioni visive (la fotografia opulenta e l'uso del ralentì) e da un registro narrativo messi sullo schermo con un'enfasi che sembra appartenere più alla personalità dell'autrice che a quella della sua protagonista. Un giudizio, questo, che però deve fare i conti con le caratteristiche di "Demain e tous le âtres jours", la cui collocazione, rivolta a un tipo di intrattenimento capace di farsi apprezzare da buona parte dei presenti.
03/08/2017