recensione di Nicola Picchi
6.0/10
Nel 2012 l'economia americana è collassata e la disoccupazione è arrivata alle stelle, mentre le Corporation hanno preso il potere e le prigioni sono state privatizzate. Jensem Ames, ex pilota che lavora come operaio in un'acciaieria, viene accusato ingiustamente di aver assassinato la moglie, arrestato e trasferito a Terminal Island, il più grande penitenziario degli Stati Uniti. Qui, sotto il pugno di ferro di Warden Hennessey, direttrice del carcere, viene organizzata la Death Race, che viene poi diffusa in pay-per-view garantendo enormi profitti. Il problema è che la star del programma, Frankenstein, è appena stato polverizzato da un missile durante l'ultima corsa, e a Hennessey serve un pilota che prenda il suo posto. E se il povero Ames fosse stato incastrato proprio per assicurare alla direttrice un nuovo pilota?
Se qualcuno ancora ricorda il vecchio "Anno 2000: la corsa della morte" (1975), prodotto ai bei tempi della factory di Roger Corman con la regia di Paul Bartel, sappia che questo remake di Paul W.S. Anderson viaggia per tutt'altri lidi. Se l'originale era una sgangherata satira dal gusto decisamente camp, "Death Race" si prende molto sul serio, nei limiti di un onesto prodotto d'intrattenimento. Se siete dei patiti di "Carmageddon", videogioco ispirato proprio al film di Bartel, e adorate macchine pesantemente modificate dotate di napalm, lanciamissili e mitragliatrici calibro 50, questo è il film che fa per voi. La stessa struttura della Death Race è pensata come un videogame, in cui i partecipanti devono affrettarsi ad assicurarsi i bonus disseminati sull'asfalto (armi o scudi), prima che un avversario più furbo o più veloce li faccia esplodere in mille pezzi, riducendo le auto in carcasse annerite di metallo fumante. Nonostante il videoludico massacro on the road, "Death Race" si può ascrivere agevolmente al filone carcerario, da "Fuga da Alcatraz" a "Le ali della libertà", da cui mutua un'infinità di stereotipi. Dal meccanico di Ames (un ottimo Ian McShane), che, pur libero, ha preferito tornare in carcere perché incapace di adattarsi al mondo esterno, alla direttrice carogna fino alla guerra tra bande, si può dire che Paul W.S. Anderson, anche autore della sceneggiatura, abbia dato fondo a tutto il repertorio disponibile. Non che questo sia poi un gran difetto, visto che i dialoghi e il plot non sembrano ambire ad essere candidati ad alcun premio, se non forse al Razzie Award. Anche il tema dei ludi gladiatorii come mezzo per anestetizzare le masse viene tenuto in secondo piano, visto che evidentemente quello che interessa al regista è lavorare di montaggio e far volteggiare la macchina da presa durante le sfide tra Ames/Frankenstein e il suo acerrimo nemico, Machine Gun Joe, al ritmo martellante della colonna sonora di Paul Haslinger, ex dei Tangerine Dream.
In questo senso il film può dirsi riuscito, anche per merito della fotografia metallica e virata di Scott Kevan e per le suggestive scenografie di Paul Denham Austerberry, che ha usato come set della corsa una zona industriale abbandonata di Montreal. Joan Allen è una subdola Hennessey, mentre Jason Statham, che interpreta da anni tutti i personaggi allo stesso modo, è funzionale al ruolo e, come "action hero", è comunque molto più credibile dell'inetto Vin Diesel. Paul W.S. Anderson ("Resident Evil", "Alien vs Predator") si conferma un solido mestierante della serie B, in grado di sfornare senza troppi problemi stupidi ma spassosi action estivi come questo "Death Race".
Una delirante didascalia finale, dati i numerosi e spettacolari incidenti, scoraggia i teen-ager dal tentarne l'emulazione mentre, per i cormaniani, ricordiamo che nella versione originale il Frankenstein del prologo ha la voce di David Carradine, che interpretava il personaggio nel film del 1975.
17/10/2008