A dispetto di un contesto di riferimento che non lascia spazio a digressioni che non siano quelle necessarie ad ampliare gli elementi di conoscenza utilizzabili a decifrare le asperità della messinscena, Sulanga Gini Aran è molto più empatico di quello che potrebbe sembrare, poichè, oltre a esprimersi attraverso una sinossi di gesti e di situazioni in cui ci si può facilmente identificare, riesce a costruire il percorso filosofico del racconto arrivandoci per gradi successivi e attraverso una politica dei corpi che non concede sconti in termini di ferocia e di durezza di sguardo; basti pensare alla sequenza in cui stupro della ragazza è reso attraverso la deformazione del viso della vittima, schiacciato sul vetro della macchina dove si compie lo scempio; oppure alla dimensione di necrofilia che fa da sfondo all'accoppiamento con la paziente, narcotizzata e distesa sul lettino operatorio. Un'esasperazione che non rimane fine a se stessa - e quindi non si concede a quel vojerismo di cui il cinema occidentale si nutre - ma che, al contrario, diventa parte integrante di una visione generale, in cui il caos della vita umana, condensata in quella dei tre protagonisti, costituisce il necessario contraltare all'armonia della natura, presente nel film in qualità di testimone imparziale delle vicende raccontate.
Ma la sorpresa più grande per quanto ci riguarda è la constatazione di una regia che fa dell'immagine il suo strumento più efficace, sublimando il meccanicismo e la materialità presente nella vicenda in una serie di quadri immoti (piano sequenza e telecamera fissa) dominati da un equilibrio - geometrico e insieme pittorico - che, pur nella sua perfezione estetica si preoccupa di rimane funzionale alla causa della narrazione. Come dimostra la sequenza finale, dove l'incrocio tra il camioncino che riporta a casa il trafficante d'organi e la nuvola che per un istante ne oscura il passaggio, sintetizza come meglio non si potrebbe, la ristabilita alleanza tra cielo e terra. Senza dimenticare l'efficacia del fuori campo che scaturisce dalle ellissi narrative che separano le varie sequenze, in cui Jayasundara si svincola dalla storia, per consegnarla alla mente e al cuore dello spettatore, chiamato una volta tanto a fare giustizia di quei vuoti, restituendoli al film con la forza della propria presenza.
cast:
Steve De La Zilwa, Ruvin de Silva, Suranga Ranawaka
regia:
Vimukthi Jayasundara
titolo originale:
Sulanga Gini Aran
distribuzione:
Council Production
durata:
82'
produzione:
Council Production
sceneggiatura:
Vimukthi Jayasundara
fotografia:
Channa Deshapriya
montaggio:
Saman Alvitigala
costumi:
Lai Harindranah
musiche:
Lakshman, joseph de Saram