Cuori nella neve. La neve che copre le cose, che è fredda, bianca e quindi pura, che scende lentamente oppure violentemente, costante come una ricerca ininterrotta, spinge a cercare calore e rifugio, conduce a una malinconica monotonia. Una metafora che può voler dire molto, oppure nulla, semplicemente un surplus, dettaglio di colore, elemento d'atmosfera. La neve che comunque è immagine reiterata tanto che è difficile non cedere all'interpretazione, e quindi sembra essere come l'amore, perché "Cuori" racchiude tanti aspetti di un sentimento complesso, doloroso, inflazionato ed essenziale: la gioia dell'inizio, l'amarezza dell'inevitabile fine, l'amore di un figlio per il padre, tra fratello e sorella, il sentimento religioso, la paura del primo passo, la ricerca tramite internet, la perversione, il voyeurismo: insomma, poetico e prosaico assieme. Ma più che l'amore è prima di tutto la sua mancanza, il faticoso frustrante inseguimento, il suo scioglimento, le compensazioni, i suoi aspetti negativi.
Sei personaggi in cerca d'amore, in una Parigi crepuscolare e sepolta sotto il bianco, sei cuori in attesa di svernare, le cui vicende si incrociano o si sfiorano appena. Un agente immobiliare (André Dussollier), una donna (Laura Morante) che cerca casa col suo compagno (Lambert Wilson), un barista (Pierre Arditi) che si prende cura dell'anziano padre malato, una segretaria particolarmente religiosa (Sabine Azéma), una ragazza che risponde ad annunci per cuori solitari (Isabelle Carré). E la solitudine sembra circondare ogni cosa, ogni personaggio, perfino gli ambienti, i bar, la cucina, il salotto, le case sfitte - la neve, come la solitudine potrebbe cadere ovunque, coprire tutto. La si riconosce anche nel rumore bianco della televisione.
Parigi sembra posta dentro una sfera (con la neve, appunto) rigirata e vista attraverso un vetro. Indoviniamo che si tratta della capitale francese soltanto dai dialoghi, altrimenti è solo sfondo bianco, neutro, luogo qualunque.
Nel film si trova l'idea del guardare attraverso: le grandi vetrate dell'agenzia immobiliare, l'inquadratura dall'alto che svela la finzione degli appartamenti ispezionati, il vedere l'altro attraverso lo schermo della televisione, il barista che osserva la nuova coppia attraverso una cortina rossa. E la finzione è volutamente marcata anche nella parte finale, con la splendida scena del dialogo in cucina tra la Azéma e Arditi. Splendida come la Carré e il suo sorriso di illusa, tenace speranza. Ottima fotografia, che esalta gli ambienti, interni elegantemente arredati, moderni, con le luci del bar dell'albergo, il calore dell'agenzia e delle abitazioni. Musiche - guarda caso - di Mark Snow.
Una storia semplice, delicata, soffice, svolta in quattro giorni scanditi da dissolvenze a nero, con all'interno episodi separati da dissolvenze "a neve". Una circolarità di eventi e personaggi, una ronde che sarebbe piaciuta a Ophuls. Ed è ancora certamente cinema di poesia, come ce lo ha fatto conoscere lo stesso Resnais, declinato nella contemporaneità della solitudine metropolitana che racchiude differenti età anagrafiche. Un ottimo cast (in parte già visto in "Parole, parole, parole..." da cui torna il tema della ricerca della casa e dell'amore), soprattutto la Azèma (il diavolo, probabilmente?) nella sua ambiguità, dimessa e tentatrice allo stesso tempo. Resnais non vuole mostrarci nessun'altro oltre ai protagonisti: gli altri sono scenografia, figuranti, ininfluenti, indifferenti. Personaggi deboli e forti, insicuri e decisi, tutti a loro modo curiosamente perbenisti, alla ricerca della stessa cosa.
Un sempre in forma Alain Resnais, maestro di un cinema che sa ancora parlare ai cuori per raccontare nuovamente l'amore senza cadere in luoghi comuni, anche grazie a una sceneggiatura controllata e intelligente (firmata da Jean-Michel Ribes, da una pièce di Alan Ayckbourn). Regia posata, sempre elegante, impreziosita da momenti lirici, che aggiunge un altro memorabile capitolo sull'amore a una filmografia tra le più originali e importanti.
03/06/2010