Molto rumore per nulla. Verrebbe proprio da commentare così le polemiche che hanno accompagnato l'uscita nelle sale e la presentazione veneziana del nuovo film di Francesco Patierno, regista napoletano al suo terzo lungometraggio. Leghisti sugli scudi per quella che hanno giudicato una caricatura di certe loro posizioni sul tema dell'immigrazione. A posteriori, però, l'impressione che chi ha criticato "Cose dell'altro mondo" lo ha fatto solo avendo visto il trailer è forte.
Prima di tutto viene da dire: ma possibile che esponenti politici di rango nazionale si sentano attaccati da un personaggio cinematografico come Libero Golfetto? È lui, infatti, l'elemento scatenante della polemica. Interpretato da Diego Abatantuono (che giganteggia a dir poco su un cast poco assortito ed entusiasmante), Golfetto è uno di quegli imprenditori della provincia italiana, meglio se del Nord, con un'azienda e pure una trasmissione televisiva: ed è da questo palcoscenico pubblico che elargisce sermoni con cui attacca a muso duro, e senza risparmiare volgarità, la presenza massiccia di extracomunitari sul territorio.
In realtà, Libero ha un'attività economica che si fonda sul lavoro straniero e ha anche una relazione sessual-sentimentale con una prostituta africana, con cui si intrattiene in automobile a parlare del più e del meno. Ma quando l'incantesimo della sparizione di tutti gli immigrati si realizza, per la cittadina veneta è il dramma.
È da questo punto del film, da quando cioè la commedia all'italiana cede il passo a una ben più ambiziosa commedia del grottesco e del surreale, che la pellicola di Patierno perde colpi. Con un prologo che lasciava presagire bene e una presentazione articolata dei protagonisti affascinante (d'altronde i film corali e circolari, quelli in cui i personaggi si incrociano solo in un momento eccezionale, hanno sempre un appeal particolare) la storia poteva prendere le pieghe di una tragicommedia satirica davvero unica nel nostro panorama cinematografico attuale. Patierno, invece, dipinge a tratti una realtà provinciale molto stereotipata, con l'esplosione di un dramma collettivo che punta tutto sui pochi argomenti che tutto il Paese conosce: le badanti, la manodopera "pesante", le prostitute di colore. Ciò che viene a mancare alla città veneta in questione sembra più una copertina di un servizio usurato da reportage giornalistico. Un peccato, perché l'intuizione iniziale era interessante e la sceneggiatura nasconde alcuni scorci di dialoghi brillanti e acuti (quasi tutti, per la verità, affidati ad Abatantuono).
Due riflessioni su sceneggiatura e parco attori. La prima è che seppure, come già detto, la scelta di puntare su un triangolo di protagonisti che agiscono ognuno per conto proprio risulta felice in partenza, la parte di storia che riguarda la love story fra Valerio Mastandrea e Valentina Lodovini risulta alla fine avere un rilievo che mette in ombra, incomprensibilmente, il tema principale.
Una seconda osservazione è proprio su Mastandrea: ormai ex simbolo della romanità al cinema, viene utilizzato, anzi spremuto, dai registi di ogni regione italiana con le più improbabili "scuse di finzione". Da romano "solo d'adozione" ad emigrato al contrario, fino a quando addirittura (come ad esempio nel caso delle collaborazioni con Paolo Virzì), con tanto di accento locale, si finge un vero toscano. Le spiegazioni sono due: o l'elemento del romano che tira fuori l'imprevedibile battutaccia strappa-applausi comincia a diventare una sorta di luogo comune imprescindibile nella nostra commedia oppure, e speriamo almeno sia così, che Mastandrea è una sorta di nuovo Re Mida del cinema italiano capace di attirare pubblico, una specie di Tom Hanks o di Jim Carrey capitolino.
cast:
Diego Abatantuono, Valerio Mastandrea, Valentina Lodovini, Maurizio Donadoni, Sandra Collodel
regia:
Francesco Patierno
distribuzione:
Medusa
durata:
90'
produzione:
Rodeo Drive, Medusa Film, Sky Cinema
sceneggiatura:
Diego Da Silva, Giovanna Koch, Francesco Patierno
fotografia:
Mauro Marchetti
scenografie:
Tonino Zera
montaggio:
Cecilia Zanuso
costumi:
Eva Coen
musiche:
Simone Cristicchi