È impressionante realizzare che questo film, girato nel 2019, ha degli aspetti che anticipano ciò che sarebbe accaduto a tutti noi di lì a poco, seppur involontariamente, seppur incidentalmente. La malattia, l'ospedale, il medico, l'infermiere, le divise sanitarie, persino le mascherine, sono tutti elementi fondamentali della messa in scena di "Cosa sarà", il quarto e migliore film diretto da Francesco Bruni. È un'opera che precorre i tempi perché riporta al centro dello sguardo dell'uomo, e della sua attenzione, un senso di fragilità per l'esistenza terrena che il nostro cinema aveva praticamente dimenticato negli ultimi anni. Eppure, questo 2020 maledetto che ci ha portato a confrontarci con una situazione sanitaria generale costantemente da monitorare ci ha ricordato proprio il concetto essenziale espresso da "Cosa sarà": la paura della morte è un sentimento sempre in agguato, la vita di un uomo è per sua stessa natura caratterizzata da una fragilità e una provvisorietà spaventose. Il protagonista dell'opera, Bruno Salvati, regista di commedie poco comprese dal grande pubblico, attraversa tre crisi esistenziali contemporaneamente. C'è la crisi familiare, innanzi tutto: si è separato dalla moglie, che forse ha una relazione con una donna, ha due figli adolescenti con cui non riesce a sentirsi pienamente connesso; poi c'è la crisi professionale: il suo produttore lo sgrida per questo suo atteggiamento poco conciliante nei confronti dei gusti del pubblico, visto che continua a insistere nell'idea che una commedia possa essere tale anche senza essere esilarante. E infine c'è la crisi più grave, che irrompe nella vita di Bruno e ribalta ogni altro aspetto: scopre casualmente di avere una forma di leucemia, ha bisogno di un donatore di midollo e l'intervento è molto delicato.
Partendo dalla sua vicenda personale, Bruni riesce a fare ciò che molti altri colleghi non sono riusciti a fare in precedenza: da una parte evita che gli elementi autobiografici soffochino la storia e dall'altra gira una commedia che ha successo proprio riscattando le convinzioni artistiche del suo protagonista. "Cosa sarà" prende spunto, infatti, dalla malattia che ha colpito il regista romano, trasferendo sul personaggio che lo sostituisce nella finzione non solo il tema centrale della salute a rischio, ma presumibilmente una serie di riflessioni personali anche sul mondo del cinema italiano e sui legami familiari. Eppure, e se ne ha una percezione chiara sui titoli di coda, ci troviamo di fronte a un lungometraggio che non tradisce la cura nella scrittura, nella messa in scena degli eventi, perfettamente concatenati come si conviene riguardo alla tradizione della miglior commedia nostrana. "Cosa sarà" sposa infatti proprio quel concetto di commedia che rifiuta il riso per il riso, il divertimento fine a se stesso, la trovata comica che solletica l'ilarità dello spettatore; Bruni, infatti, realizza una pellicola che fa dell'arte della narrazione il suo pilastro più resistente, un'opera in cui, appunto, si prova vera e sana soddisfazione nell'assistere al dipanarsi degli eventi, vedendo come le tre crisi di cui sopra si sovrappongono nelle giornate di Bruno Salvati (un nome e un cognome che richiamano sia i cenni biografici dell'autore sia la volontà di guardare a un lieto fine della vicenda) in maniera del tutto naturale, con una certa maestria nell'inquadrare l'ingresso di nuovi protagonisti nel corso della storia.
È certo una commedia amara, quella di Bruni, quando affronta più da vicino lo stato di salute del cinema italiano. Il produttore che litiga con il protagonista e lo cerca solo perché dispiaciuto per la sua malattia, ma non certo per averlo abbandonato sul lato professionale, è la conferma di una china pericolosa: nessun rischio, nessun investimento coraggioso, si devono battere sempre le stesse strade, quelle sicure, che portano all'incasso e al ritorno economico. Ma la crisi non è certo solo responsabilità dell'industria cinematografica, è la sensibilità stessa del pubblico ad essere cambiata. C'è una sequenza molto significativa, in cui Bruni gira quasi al confine con il registro del grottesco: già ricoverato in clinica in attesa dell'intervento, Salvati organizza una proiezione nel cinema dell'ospedale cui assistono gli altri pazienti. Finito il film, egli vorrebbe un dibattito, anche acceso, come si faceva nei cineforum. Paradossalmente, più che al numero di spettatori da raccogliere, Bruno è interessato alle loro reazioni, alle loro eventuali curiosità. Ma il dibattito non ha luogo, nessuno è interessato, il malore di un paziente costringe tutti ad allontanarsi e anche questo estremo tentativo di rivitalizzare una curiosità andata perduta fallisce.
La commedia si fa più indulgente sul fronte dei legami affettivi. Una famiglia disfuzionale, quella di Bruno, in precario equilibrio fra donne forti e volitive e uomini fragili e inaffidabili. E anche qui, l'indulgenza non si fa mai conformismo o superficialità, né in fase di sceneggiatura, né tanto meno nella resa finale. Le diverse generazioni che entrano nel quadro d'insieme si compenetrano davanti all'obiettivo della macchina da presa in un imbarazzato ma deciso tentativo di supportarsi, aprendosi alla comprensione dell'altro. La trasferta livornese alla ricerca di una parente perduta e da ritrovare, sui cui dettagli di trama è bene sorvolare per lasciare allo spettatore il piacere della scoperta, è uno dei momenti più riusciti dell'opera: c'è, in quelle carrellate sul lungomare, in quelle panoramiche sui canali della città toscana, una ricerca di autenticità che traspare da parole ed espressioni dei personaggi. Ed è un po' il fulcro di tutto il film, questo atto di generosità emotiva fortemente voluto dal regista, questo abbattere i filtri dell'artificio e lasciare che l'interprete viva su di sé le parole del copione.
Infine, la malattia, messa in scena tra salti temporali avanti e indietro nel tempo, tra il momento della scoperta attraverso le analisi iniziate per puro caso e i difficili istanti del ricovero e dell'attesa di un intervento chirurgico. Qui è bene tornare al principio, in cui facevamo accenno all'anno che abbiamo vissuto tutti e che, chiaramente, era ancora ben lontano al momento della realizzazione di "Cosa sarà". Eppure, anche se le difficoltà al centro delle diagnosi sono completamente diverse, c'è un approccio al racconto della malattia di potente attualità, proprio nella sua capacità di cogliere quell'impossibile soluzione al dubbio sulla fragilità dell'esistenza umana. I toni della narrazione si mantengono sempre sul piano della fiducia e dell'ottimismo, magari moderato, per il futuro. Come il cinema italiano può riprendersi, come la famiglia può trovare un nuovo equilibrio dopo un allargamento dei rapporti, così anche la stessa sopravvivenza è possibile, aprendosi alla scienza, alla medicina, alla semplice collaborazione.
"Cosa sarà" è anche e soprattutto un film di attori e attrici. A ognuno Bruni lascia un margine di iniziativa, raccomandando però un registro che non sfondi quel muro del riserbo che è proprio dei personaggi che la sua penna ha creato. E così tutti, da Lorenza Indovina a Giuseppe Pambieri, da Barbara Ronchi a Raffaella Lebboroni riescono a mantenere un profilo di credibilità e di coerenza. I protagonisti di "Cosa sarà", in ossequio alla volontà di fare della vita vera un film, non hanno slanci violenti o eccessivi, ma restano sempre un passo indietro, trattenuti tra il fare e il non fare, tra il dire e il non dire, esattamente come tutti noi alle prese con le difficoltà della quotidianità. L'unica eccezione è Kim Rossi Stuart, ormai diventato un artista che non interpreta più il ruolo, ma inizia a viverlo anche prima del lavoro sul set. La sua opera di mimetizzazione è tale che può provocare a volte fastidio per l'esasperazione dei toni, a volte sgomento per la capacità di scomparire completamente nel corpo e nella mente di un personaggio.
cast:
Kim Rossi Stuart, Lorenza Indovina, Giuseppe Pambieri, Barbara Ronchi, Raffaella Lebboroni
regia:
Francesco Bruni
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
101'
produzione:
Palomar, Vision Distribution
sceneggiatura:
Francesco Bruni