Quando un regista abituato ad abitare le retrovie del cinema nazionale esce allo scoperto e può finalmente ambire di farsi conoscere da un pubblico più vasto, dobbiamo sempre e comunque festeggiare l'evento. Figurarsi se il protagonista di questa "emersione" è il romano Eros Puglielli, vero e proprio monumento vivente (anche se ha solo 46 anni) del cinema indipendente italiano. Il cineasta, di cui si erano perse le tracce sul grande schermo per oltre un decennio, è recentemente tornato con due lungometraggi girati a strettissimo giro. Uno, "Nevermind", è ancora senza distribuzione dopo la sua proiezione in anteprima alla Festa di Roma lo scorso autunno; l'altro, "Copperman", non solo è riuscito a trovare una produzione vera e propria, ma è anche approdato nei cinema sul territorio. Certo, le logiche economiche dietro l'industria cinematografica sono purtroppo sempre le stesse: il film segue la scia del successo clamoroso di "Lo chiamavano Jeeg Robot" e proprio grazie a questo traino ha trovato una luce altrimenti impensabile; ma, in ogni caso, per un motivo o per l'altro, il fatto è incontestabile: Puglielli ha diretto un film che si può finalmente gustare nel buio di una sala.
A questo punto l'interrogativo più stimolante, con cui ci siamo avvicinati alla visione, è stato il seguente: quanto è riuscito un autore indisciplinato e ribelle per sua stessa natura a mantenere del suo dna artistico, alle prese con un soggetto più vicino al concetto di mainstream? Ce l'ha fatta, oppure no, a custodire viva la sua personale e indefinibile concezione del mondo e la sua particolare e libera reinterpretazione del concetto di cinema di genere? "Copperman" è un'opera molto diversa dal resto della produzione di Puglielli anche per un altro motivo: è in assoluto la sua prima regia di cui non ha firmato anche la sceneggiatura. Insomma, un vero e proprio lavoro su commissione, su cui Puglielli è stato chiamato in un secondo momento per portare qualcosa di innovativo a uno script tendenzialmente basico e non certo originale.
"Copperman" è la storia di Anselmo, un uomo cresciuto nel fisico ma non certo nella mente: è rimasto un bambino che crede ai supereroi, reduce da un passato traumatico, con un padre scomparso nel nulla, una madre anche lei con qualcosa di infantile nel suo modo di fare, un'amica amata da sempre e cresciuta con lui, seppur a debita distanza. Ogni notte, complice il fabbro del paese dove vive che gli ha preparato una rudimentale armatura, Anselmo diventa appunto Copperman, il supereroe che combatte il crimine e che, nel frattempo, cerca di sconfiggere anche i suoi demoni interiori. Il senso dell'operazione artistica che, a differenza proprio di Jeeg Robot, è contraddistinta da un tono solare e levigato, sia nella messa in scena sia nel tratteggiare l'essenza dei protagonisti, sta nel recuperare il fascino per un tono fiabesco perduto fra le mille produzioni ad altissimo budget che, da Hollywood, sono arrivate a contagiare anche certo cinema europeo popolare. Intento nobile, certo, ma accompagnato in verità da ben poche intuizioni di scrittura: e così "Copperman" si ammanta di una vaga impressione di già visto, già sentito, qualcosa di familiare che lo spettatore ha talmente assimilato da arrivare a confondere un titolo con un altro.
Puglielli sceglie una linea minimale nella sua regia: limita i suoi guizzi all'abilità nell'intuizione scenica, rinunciando però a infondere nel film quel suo personale gusto per il ribaltamento dei codici. Il regista romano ci aveva abituato, da "Dorme" fino all'irrisolto "AD Project", a una maestria folgorante nella manipolazione del concetto stesso di cinema fantasy: una miscela esplosiva che trasformava il fantastico in una quotidianità grottesca, capace sia di sorprendere, sia di disturbare, sia anche e soprattutto di divertire moltissimo. In "Copperman" prevale una scelta conservativa, ed è un peccato. Puglielli si tiene lontano dal modello "Super" di James Gunn, film paradossalmente molto più in linea con il passato dell'autore italiano di quanto lo sia questa sua ultima fatica dietro la macchina da presa; ma anche il gioco sulla diversità e la discriminazione che si trasforma in opportunità resta piuttosto sullo sfondo. Appare infatti abbastanza infondato anche un altro modello tirato in ballo da alcuni, ovvero quello di Hayao Miyazaki. Resta invece un fantasy contemporaneo piacevole e garbato, interpretato con onestà ma senza alcuna virata verso il geniale da Luca Argentero, che semmai va più a braccetto con certo cinema di Jean-Pierre Jeunet, per quella osservazione del fantastico e del sorprendente anche nell'incontenibile noia di provincia. Non citeremo "Forrest Gump" come riferimento ideale nella costruzione narrativa del protagonista Anselmo, invece, proprio per non fare torto a Puglielli. Gli emuli del personaggio interpretato negli anni 90 da Tom Hanks, infatti, cominciano a diventare un sintomo di pigrizia intellettuale, diffuso e preoccupante, Oltreoceano come in Italia.
cast:
Luca Argentero, Antonia Truppo, Galatea Ranzi, Gianluca Gobbi, Tommaso Ragno
regia:
Eros Puglielli
distribuzione:
Notorious Pictures
durata:
94'
produzione:
Eliofilm, Rai Cinema
sceneggiatura:
Riccardo Irrera, Paolo Logli, Mauro Graiani, Alessandro Pondi
fotografia:
Alfredo Betrò
scenografie:
Emita Frigato, Maria Rita Cassarino
montaggio:
Karolina Maciejewska
costumi:
Patrizia Chericoni
musiche:
Andrea Guerra