"L'orrore. L'orrore". Si conclude con queste parole "Apocalypse Now", altro capolavoro di Francis Ford Coppola, che vedrà la luce soltanto nel 1979. Ovvero sei anni dopo "La conversazione". "L'orrore" vagheggiato da un Kurtz-Brando moribondo è però il medesimo che permea, in maniera disturbante e profonda, anche il film interpretato da Gene Hackman nel '74. Già, perché "La conversazione" dell'horror(e) ha tutte le connotazioni. Esso è, innanzitutto, un viaggio nel "cuore di tenebra" del suo protagonista, un lungo incubo, influenzato, senza alcun dubbio, dal clima dell'epoca, paranoico e pessimista (sono gli anni della presidenza Nixon, sono gli anni del Watergate).
L'orrore sta tutto negli occhi dell'intercettatore Harry Caul-Gene Hackman (che tornerà a interpretare un ruolo simile in "Nemico pubblico" di Tony Scott): nella sequenza più terrificante del film (nonché uno dei momenti più spaventosi della storia del cinema tutto) un inferno di sangue sgorga attraverso le candide superfici di una toilette (Kubrick se ne ricorderà in "Shining"); è il segno di un passato, di un marcio, che si nasconde appena sotto la superficie del mondo che conosciamo.
I personaggi sono freddi, sgradevoli, quasi metafisici: Amy, l'unica persona che mostra un genuino interesse nei confronti di Harry, viene rifiutata, abbandonata. L'altra donna nella vita del protagonista, prima lo seduce, ma il mattino dopo scompare, assieme ai "preziosi" nastri di Harry. Tutti i personaggi nascondono un segreto, piccolo o grande che sia, tutti celano un peccato, un'ambiguità, anche quelli che paiono più innocenti. Harry si muove in una San Francisco spettrale, deserta, già in disfacimento (gli edifici semi-distrutti, non ancora finiti), che sottolinea ulteriormente il suo senso di spaesamento e solitudine.
Ci troviamo in una dimensione irreale, quasi
polanskiana, in cui la realtà non è molto dissimile dal sogno-incubo di Harry (avvolto in un'ancestrale nebbia, rappresenta l'unico momento in cui il protagonista svela dei particolari riguardanti il proprio passato e i propri sentimenti).
Coppola (che, al pari di Hackman, ritiene questa pellicola la più riuscita della sua lunga filmografia) si immedesima sino in fondo con Caul, si trasfigura nelle ansie dell'intercettatore: Coppola è Harry, e Harry è il regista, colui che tenta di porre ordine e logica nel caos del mondo, finendo però per rimanere sconfitto, incapace, nonostante la presunta onnipotenza tecnologica dei congegni che egli stesso perfeziona, di porre rimedio ai propri errori, senza la possibilità di espiare le colpe che lo affliggono (a "causa" di una sua intercettazione risalente ad anni prima, una famiglia venne sterminata). Harry gira manovelle, altera i suoni, opera un sopraffino e attento lavoro di copia-incolla (il suo operato non è molto distante da quello del montatore cinematografico, che collega e dà senso alle inquadrature girate), tentando di ottenere un flusso sonoro "pulito e ricco" di informazioni, ma non riesce a percepire la verità all'interno delle proprie registrazioni: il "montaggio" di Harry è errato, o meglio ancora, quello ottenuto dal protagonista è solo uno dei montaggi-verità possibili.
La realtà resta impalpabile, fuori dalla portata di Caul, poiché quest'ultimo non riesce a inquadrare a dovere tutti i tasselli del mosaico. Lo spaesamento emotivo/privato di Harry si riflette nella difficoltà a incasellare l'essenza delle cose, a collocare le persone nel giusto ruolo (chi è il carnefice? E chi la vittima?). Qui Coppola è ancora più cupo e funereo che nel precedente, trionfale, "Padrino" (fu grazie all'enorme successo di quel film che il regista poté finanziare le riprese de "La Conversazione"); nel primo episodio della saga mafiosa persisteva qualche traccia di positività, incarnata nel sacro nucleo familiare. Il nero della società trovava una corrispondenza nelle alte cariche del potere, criminalità e politica diventavano sinonimo, ma nei Corleone era ancora possibile rintracciare le cellule dell'
American Dream (onore, rispetto, il mito del
self made man). Nel mondo di Harry Caul, invece, non v'è traccia di tutto ciò. Solo paranoia e solitudine (l'inquadratura finale di Hackman è esplicativa, e la si può ricollegare direttamente a quella di Al Pacino che conclude "Il Padrino parte II": due uomini condannati dalla sorte, dagli eventi, ma soprattutto dalle proprie azioni, a rimanere soli con i propri rimpianti).
La regia di Coppola è di perfezione geometrica, glaciale, attenta a ogni dettaglio: il
sound designer Walter Murch realizza un lavoro esemplare (sarebbe d'obbligo vedere il film in lingua originale per goderne appieno). Mischia voci, effetti sonori, musica, in maniera avanguardistica, creando inedite sensazioni uditive di disorientamento e paura. Le composizioni strumentali di David Shire, solo pianoforte, sottolineano poi, con pudore ed eleganza, il disagio del protagonista (lo stesso musicista scriverà, anni dopo, una partitura simile per un altro grande film, sempre ambientato a San Francisco, sull'impossibilità di carpire la verità, "
Zodiac").
Ne "La Conversazione", l'aspetto sonoro riveste quindi un ruolo fondamentale e primario, anche superiore a quello delle immagini. Tutta la pellicola è un susseguirsi di dettagli sonori sfuggenti, di cose non dette e non viste (la lunga inquadratura aerea che apre la pellicola, che finisce, lentamente, per stringere sulla coppia di amanti in movimento), che livellano la conoscenza dello spettatore a quella di Harry, rendendo ancora più sconcertante la rivelazione conclusiva (il dettaglio mancante, il passato che ritorna minaccioso, sono temi su cui si soffermerà spesso pure De Palma nei suoi thriller, su tutti "Blow Out", ma anche autori nostrani come Dario Argento: i colpi di scena di "Profondo rosso" e "L'uccello dalle piume di cristallo" sono l'equivalente "visivo" del labirinto sonoro di Coppola).
"La conversazione" è un film che racchiude in sé un decennio di cinema americano, anticipa tendenze a venire ("Telefon", "I tre giorni del condor"
et similia arrivarono dopo), e riesce a farsi inquietante apologo sulle sorti di un paese in crisi d'identità. Forse la vetta assoluta della più che onorevole, e longeva, carriera di Francis Ford Coppola.
05/10/2008