Una volta accertato che il film costituisce reato cinematografico, si tratta poi di stabilire se è stato commesso con dolo o colpa. Se cioè il film sia stato girato con volontà deliberata o se invece il reato sia stato compiuto senza l'intenzione di chi l'ha girato. Nel ruolo di avvocato recensore - dunque in difesa del cinema ed esprimendo ovviamente un'impressione del tutto personale - direi che sì il film costituisce reato, ma ha prodotto danni superiori rispetto alle intenzioni dell'autore. Punterei insomma sulla preterintenzionalità e su alcune attenuanti generiche.
La prima è il titolo. Nel titolo c'è inclusa la confessione del regista. Perché il titolo per un autore è anche un po' la firma, come la Z di Zorro, la V per Vendetta o l'unghiata di Freddy Krueger. E allora "Confusi e felici" prima ancora che anticipare lo stato confusionale ma positivo dei personaggi, confessa la condizione dell'autore di fronte all'opera compiuta, ovvero una felicità strettamente congiunta alla confusione.
C'è anche un paio di scene "attenuanti" che in contrasto col p(i)attume generale mi vien spontaneo celebrare in modo esagerato: la prima è una visione "gondriana" dell'emancipazione maschile dal ventre materno, scena in cui Pasquale il mammone cronico (Massimiliano Bruno) caccia fuori i giocattoli dalla sua eterna cameretta; la seconda è l'attacco d'ira in mondovisione con cui Michelangelo (Rocco Papaleo), telecronista della nazionale di calcio, fa scoppiare un caso diplomatico fra Italia e Germania.
Ultima attenuante è la parodia della morale inflazionata dalla commedia italiana. Forse è soltanto un'idea mia, del tutto immaginaria, ma se nelle commedie corali nostrane il protagonista alla fine - grazie all'impegno solidale degli altri personaggi - apre gli occhi, in questo caso certo non si può dire, o si può dire semmai solo metaforicamente. Secondo i fatti narrati accade esattamente il contrario: grazie all'impegno solidale e persuasorio degli altri personaggi, il protagonista chiude gli occhi e li chiude anche prima di quando avrebbe potuto.
Massimiliano Bruno è attore, sceneggiatore e regista. "Confusi e felici" è il suo terzo lungometraggio e Bruno rende grazie al cielo (vedi foto 2 sotto) che non sia stato il primo, perché chissà in quel caso come sarebbe andata. Non che "Nessuno mi può giudicare" e "Viva l'Italia" siano dei capolavori, ma sono riusciti a farsi beffa di certi spaccati della società e a mostrarci, in modo anche originale, la decadenza del nostro paese. Questo film invece affonda, il tempo di due tre risate, in un patetismo scontato e irritante. Costruisce intorno alla malattia (la maculopatia) da cui è afflitto il protagonista una storia priva di emozioni e zeppa di luoghi comuni che non vengono né ridicolizzati, né esasperati, né offrono alcun spunto di riflessione.
Gli interpreti sono al livello del film. Bisio è sempre Bisio, nel bene e nel male, sempre uguale. E' vero che come sempre Bisio rappresenta l'uomo medio, ma non è vero che gli uomini medi son tutti Bisio. La Foglietta ha questo suo costante, insopportabile modo di spasimare, di ansimare, come se fosse sempre sull'orlo di una tragedia o in mezzo a un orgasmo. I due protagonisti sono chiaramente battezzati Marcello e Silvia solo per garantire la scenetta revival de "La dolce vita" dinanzi alla fontana di Trevi. L'idillio poi che vede i due imbrattarsi di colore, lei che dipinge un cuoricino di tempera sulla felpa di lui (foto 1) è l'apice di un sentimentalismo efferato. Se la cavano meglio i personaggi secondari, soprattutto Papaleo, l'isterico telecronista cornuto, e Giallini, confinato nel ruolo dello spacciatore coatto dal buon cuore.
L'ultima scena del film è imbarazzante ed esemplifica la vera vocazione del film: "far ciccia", non importa come. I personaggi sono tutti radunati in campo medio sotto il balcone dove si sta consumando la tragedia personale di Bisio: lo slancio euforico di Papaleo è pietrificato da una Foglietta che stavolta sì che potrebbe tirar fuori tutta la sua arte drammatica e invece è tale e quale a com'è stata nel resto del film. Giallini si accende la milionesima sigaretta, Bruno e la Minaccioni giocano alle belle statuine. Sulle note di "Superstition" (è pazzesco che Stevie Wonder ci voglia esser propinato come un'intuizione intelligente, persino generosa) Sermonti balla insieme a un'estatica Guzzanti (foto 3). C'è da dire che Enrico (Sermonti) non aveva mai ballato prima e aveva così trascurato Betta (Guzzanti) preferendo baloccarsi col telefonino. Ecco quindi che il ballo finale si carica di un doppio significato: dimostra che Enrico è cambiato, e che anche la coppia è cambiata; e incoraggia il povero Marcello che, come insegna Stevie Wonder, potrà far ancora grandi cose.
Per concludere dunque Vostro Onore, mi vengono in mente due battute del Massimiliano Bruno quand'ancora solamente recitava, prima nelle serie tv e poi nel film Boris, due parole di cui la prima sintetizza il requisito sostanziale e necessario che ha permesso a questo film di uscire, e la seconda unisce la mia voce al coro di molti altri spettatori: buciodeculo...e 'sti cazzi!
cast:
Claudio Bisio, Anna Foglietta, Marco Giallini, Paola Minaccioni, Massimiliano Bruno, Rocco Papaleo, Caterina Guzzanti, Pietro Sermonti
regia:
Massimiliano Bruno
distribuzione:
01 Distribution
durata:
105'
produzione:
Rai Cinema, Italian International Film
sceneggiatura:
Massimiliano Bruno, Edoardo Falcone
fotografia:
Alessandro Pesci
scenografie:
Simone Braguglia
montaggio:
Patrizio Marone
costumi:
Alberto Moretti
musiche:
Maurizio Filardo
Marcello (Claudio Bisio) è uno psicoterapeuta che cade in depressione e molla tutto. La sua segretaria Silvia (Anna Foglietta) però non si arrende e si mette al comando di un manipolo di pazienti, che prima intendono solo riprendersi il proprio terapista, ma poi invece lo aiuteranno a recuperare fiducia nell’amicizia e nella vita.