And if I'm gonna talk
I just wanna talk
Please don't interrupt
Just sit back and listen
Last Flowers - Radiohead
Esiste un lungo e oscuro tunnel che noi tutti, a un tratto, dobbiamo imboccare durante il tragitto della nostra esistenza. L'adolescenza è un punto di non ritorno, una guerra sanguinolenta nella quale la fantasia comincia a scontrarsi con le prime luci della realtà e dove l'inconsapevolezza dei propri gesti, delle proprie parole, può trasformarsi in una disarmante potenza (auto)distruttrice. Quando alla psicologia si unisce anche il degenerante fattore sociale delle culture occidentalizzate, ecco che questo lungo e oscuro tunnel rischia a volte di deflagare come una bomba sotto ai nostri stessi occhi.
"Signora, a proposito della vita... Non vale niente".
Lontano dalle egogentiche fantasie pop di "Kamikaze Girls" e "Memories of Matsuko", anche l'adolescenza professionale del talentuoso regista nipponico Tetsuya Nakashima sembra essere giunta al capolinea con la maturazione di "Confessions", tratto dal romanzo di Kanae Minato, cupissimo dramma giovanile presentato in anteprima al FEFF del 2011 e distribuito solo ora in pochissime sale. Come ammette il canto lamentato di Thom Yorke che fa da sfondo alle immagini sullo schermo, è tutto troppo potente, troppo luminoso. Non esiste nemmeno un genere che possa contenere una pellicola del genere: funereo dramma dalle forti tinte psicologiche, denuncia ai danni della società (i media che strumentalizzano tragedie per poi provocare reazioni a catena, per non parlare della famiglia) e delle scuole (non solo i casi di bullismo ma l'istituzione in generale: la parola ignorante è prepotentemente utilizzata nel corso del film), o ancora,
revenge movie con improvvisazioni nel campo del
legal thriller e addirittura dell'horror. Forse, come suggerisce il titolo, il film può semplicemente riassumersi in un profluvio ininterrotto di confessioni realizzate mediante un quaderno, un blog e una lettera al computer, che coinvolgono più persone e si innescano dopo la prima magistrale mezz'ora, nella quale la giovane professoressa Yuko fa la sua, straziante, di confessione.
Pur assumendo una compostezza mai acquisita sino ad ora, Nakashima non abbandona la sua meticolosa dedizione allo stile e all'estetica dell'immagine. I colori dei suoi film precedenti sono questa volta desautorati per lasciare spazio a una tavola cromatica slavata e pallida, anche se i fotogrammi acquistano in questo modo ancora più enfasi grazie anche all'uso ossessivo della
slow motion e all'imponenza della colonna sonora che spazia dalla trascendenza di Bach alla catarsi dei Radiohead. Mediante l'utilizzo di un montaggio ricco di flashback che fa da continuo collante all'avvenimento principale (viene alla mente il "Rashomon" di Kurosawa), la seconda parte mantiene inaspettatamente un livello di pregevole fattura, merito anche di un ritmo incalzante che non allenta mai la presa (paradossale se pensiamo che il film faccia uso di un ralenty incessante) anche se è inutile negare come la perfezione dei minuti iniziali non raggiunga la stessa sperata sorte nei minutaggi successivi.
Influenzato da parecchi autori quali Chan-wook Park e dal connazionale
Sion Sono, "Confessions" si rivela un'esperienza sensoriale profondamente nichilista, un magma di problemi esistenziali di matrice giovanile che non trovano soluzione se non nell'autodistruzione (impatto psicologico messo in scena anche in America, con il recente "
Afterschool"). Nessuno ottiene la salvezza, neanche chi la dispensa. Tutti sono tristi complici di una società alla deriva, dove l'emancipazione forzata dell'adolescente metropolitano è promotore di irrispettosità e alienazione, dove la nuova generazione "è ossessionata da sé stessa, la cui unica preoccupazione è di riuscire a sposare una popstar, talmente sciocca da dire che non vuole più vivere".
"Confessions" è una pellicola potente e informe, che tuttavia, una volta entrata dritta al cuore non ne uscirà per parecchio tempo.
09/05/2013