Dalla terrazza della torre Branca, Milano sembra ancora più siderale. La testa di Claudia (l'esordiente italo-slovena Anita Kravos, lunare e magnetica) si riflette nei vetri del belvedere rimbalzando con muta inquietudine sul desertico panorama d'agosto. La vita solitaria della giovane protagonista - single trentenne inquieta e complicata - è increspata dall'arrivo di Olga, una misteriosa ragazza ucraina (la solare Karolina Dafne Porcari) che Claudia ospita, in attesa di partire per le vacanze, per aiutare il suo professore di russo. A poco a poco, tra le due coinquiline nasce una tenue complicità bruscamente interrotta, però, dall'improvvisa scomparsa di Olga. Claudia decide, così, di ribaltare il proprio programma e si mette sulle sue tracce.
E' nella forza delle immagini, nelle gelide e splendide inquadrature cariche di penombra, di parole mozzate e di "insignificanti" gesti quotidiani che questo piccolo, insinuante film indipendente (già vincitore, l'anno scorso, a Mar de Plata) si esprime al meglio. Una sceneggiatura liofilizzata che sfrutta i dettagli, le pause e i silenzi per amplificare il sottile disagio interiore di un'esistenza trattenuta, quasi trasparente, che diventa ombra di sé per un'oscura inerzia.
Nonostante i limiti della rappresentazione parziale di una metropoli complessa e stratificata come quella milanese, il lungometraggio di Marina Spada è felice, perché mostra con fermezza, lucidità e pudore (nonché padronanza tecnica esemplare) l'intimo legame tra lo spazio e il corpo, la mente e l'invisibile rete geo(meta)fisica che sostiene l'interazione sociale. Efficacissima la fotografia "lattiginosa" di Gabriele Basilico: sovraesposizioni sabbiose e accecanti che moltiplicano l'angosciante apnea della solitudine con un suggestivo effetto di enigmatica sospensione.
Un film imperfetto, ma assai prezioso, spigoloso, cerebrale, che parla soprattutto attraverso la profondità di campo, come insegnavano due grandi maestri: Antonioni e Kieslowski.
02/06/2008